La parete Est del Monte Rosa (1)
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INTRODUZIONE. LE DIMENSIONI DELLA PARETE
La parete Est del Monte Rosa è l’immagine più potente che si offre alla vista di chi percorre le prime tre tappe della Strà Granda. Durante le prime due, la parete appare solo ogni tanto a causa delle sinuosità della valle e anche quando si arriva a Macugnaga lo sguardo ne coglie sì l’imponenza, ma non la totalità, perché il lungo crestone che dal Pizzo Bianco scende verso Nord-Ovest la taglia diagonalmente, occultandone una parte significativa (ma se da Staffa si arriva a Pecetto la visuale si allarga). E’ durante la salita della terza tappa che lo spettacolo della Est si ammira in tutta la sua bellezza e durante la sosta per la notte al rifugio Oberto-Maroli si può anche osservare il graduale modificarsi dei colori della parete: dall’azzurro chiaro del pomeriggio al viola della sera, dal nero della notte al rosa e giallo dorato del mattino seguente. A questa splendida parete e alla sua storia alpinistica è dedicato questo approfondimento.
Come ho già detto nella relazione del percorso, la parete Est del Monte Rosa è, per caratteristiche (ghiaccio e roccia) e dimensioni (è larga circa 3 chilometri e alta quasi 2500 metri), l’unica parete di tipo himalayano della catena alpina. Nessun’altra parete dell’arco alpino può competere con lei. Solo per fare qualche esempio, ricordiamo che la parete Nord dell’Eiger ha un dislivello di 1800/1750 metri, quella del Monte Agnèr (Dolomiti) è alta circa 1600 m, mentre si collocano tra i 1200 e i 1400 metri di dislivello la parete della Brenva (Monte Bianco) e le pareti settentrionali delle Grandes Jorasses, del Cervino, del Bernina, del Cengalo e dell’Ortles (vedi nota 1).
NOTA 1. Le misure della parete Est del Monte Rosa che ho indicato sono quelle riportate dalla guida CAI/TCI di Gino Buscaini. Altre fonti indicano cifre diverse: 2400 metri di dislivello e circa 4 chilometri di larghezza. Ora, lasciando perdere l’altezza (la differenza mi pare abbastanza ridotta per essere discussa), ho scelto di indicare la larghezza proposta da Buscaini per due motivi: da un lato l’autorevolezza dell’autore e della pubblicazione, dall’altro una verifica pratica effettuata sulle cartine topografiche. 3 chilometri è la distanza che intercorre in linea d’aria tra il Colle Signal e lo Jägerjoch, posti ai limiti meridionale e settentrionale della parete. Per arrivare a 4 chilometri bisogna partire dal Colle delle Locce (a Est del Colle Signal), ma in questo modo si include nella misurazione la parete Nord della Punta Tre Amici che, anche solo per l’orientamento, non può essere considerata parte della parete Est del Monte Rosa.
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LE QUATTRO CIME: I LORO NOMI E LA LORO PRIMA SALITA
La parete è coronata da quattro cime che, tra l’altro, sono le più alte delle Alpi dopo il Monte Bianco. La più meridionale è la Punta Gnifetti (4554 m), cui seguono la Punta Zumstein (4563 m), la Punta Dufour (4634 m) e infine la Nordend (4609 m), che è la più settentrionale.
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Fino ai primi anni dell’Ottocento queste cime non avevano un nome ed erano tutte indicate, come gli altri quattromila che dominano la Valsesia, in modo generico come Monte Rosa (termine a sua volta comparso dalla metà del XVIII secolo; vedi nota 2). A colmare tale lacuna ci pensò per la prima volta il barone Ludwig von Welden (1780-1853), alto ufficiale dell’esercito imperiale austriaco, ma anche alpinista ed esperto di topografia, che nel 1824 pubblicò la prima monografia sul Monte Rosa. Limitandoci alle quattro cime principali, von Welden chiamò la più meridionale Signalkuppe (Cupola del Segnale; vedi nota 3), per la presenza di un obelisco naturale di roccia (che poi fu demolito per far posto al rifugio intitolato alla regina Margherita). La seconda fu dedicata a Joseph Zumstein di Gressoney (Zumsteinspitze), che ne progettò ed effettuò la prima salita nel 1820; von Welden lasciò il nome di Monte Rosa alla cima più alta (che comunque, fino al 1863, era più nota come Höchstespitze, cioè “cima più alta”) e chiamò l’ultima Nord-Ende (Nordend), cioè “estremità settentrionale” del gruppo. Nel 1842 don Giovanni Gnifetti, parroco di Alagna, dopo aver effettuato la prima salita della Signalkuppe, avanzò la proposta di attribuirle il proprio nome. L’idea fu accolta in Italia e quindi sulle carte italiane la cima divenne la Punta Gnifetti. Gli svizzeri continuarono a mantenere la denominazione proposta da von Welden fino agli anni Ottanta del Novecento: oggi sulle carte svizzere compare invece la doppia denominazione (Signalkuppe/Punta Gnifetti). Infine, nel 1863 il Consiglio federale svizzero intitolò la cima più alta al generale e topografo Guillaume-Henri Dufour, fondatore dell’Ufficio topografico federale svizzero (1938).
Queste quattro cime furono salite per la prima volta nel corso dell’Ottocento, ma dal versante occidentale, coperto da grandi ghiacciai e decisamente più facile dei versanti orientale (Valle Anzasca) e sud-orientale (Valsesia). Le prime salite furono effettuate dalla Valle di Gressoney o del Lys (Punta Gnifetti e Punta Zumstein) e dalla Valle di Zermatt (Punta Dufour e Nordend). La prima ad essere raggiunta fu la Punta Zumstein, il 1° agosto 1820. La salita fu effettuata da una spedizione di ben undici alpinisti: Joseph Zumstein (ideatore dell’impresa), Johann-Nikolaus e Joseph Vincent (anche loro di Gressoney), l’ingegner Molinatti, i cacciatori Joseph Beck e Moritz Zumstein più altri cinque tra guide e portatori. Il 9 agosto 1842, dopo i tentativi falliti negli anni 1834, 1836 e 1839, don Giovanni Gnifetti, accompagnato da Cristoforo Ferrari, Giuseppe Farinetti, Cristoforo Grober, Giacomo Giordani e Giovani Giordani e da due portatori, effettuò la prima ascensione della Sigankuppe/Punta Gnifetti. La cima più alta (Punta Dufour) fu oggetto di molti tentativi, ma la prima ascensione riuscì solo nel 1855 (1 agosto) agli inglesi Charles Hudson, John Birbeck, James G. e Christopher Smyth, Edward J.W. Stevenson con le guide Ulrich Lauener, Johannes e Matthäus Zumtaugwald (quest’ultimo al suo settimo tentativo). Infine, il 26 agosto 1861 fu la volta della prima salita della Nordend, raggiunta dagli inglesi F.T. ed Edward N. Buxton, J.J. Cowell con la guida Michel Payot.
Nel 1889 il CAI decise di costruire sulla Punta Gnifetti un rifugio che sarebbe stato intitolato alla regina d’Italia, Margherita, la quale vi salì e vi pernottò qualche giorno prima della sua inaugurazione avvenuta nel mese di settembre del 1893. La vecchia costruzione fu poi sostituita da quella attuale nel 1980. La Capanna Margherita è ancora oggi il rifugio più alto d’Europa.
NOTA 2. «Nelle carte fra l’XI e il XVII secolo il massiccio viene denominato come Momboso (forse una corruzione di Mons Bosus); in seguito si trova ilo toponimo nella forma latina di Mons Sylvius o altre analoghe pure alludenti ai boschi, che nei secoli scorsi rivestivano ampiamente le pendici dei monti. Il toponimo Monte Rosa comparve nel 1744 e per esso si accetta la derivazione da roesa o roisa, che nella parlata valdostana sta ad indicare un ghiacciaio in genere e che ha dato origine anche ad altri nomi simili quali Roèse, Rosà, Roisetta, ecc.» (Gino Buscaini, MONTE ROSA, Guida dei Monti d’Italia, 1991, CAI/TCI, p. 368). NOTA 3. Sull'origine di questo toponimo, Andrea Zannini (CONTROSTORIA DELL'ALPINISMO, 2024, Laterza, p. 147) propone un'altra interpretazione; il nome sarebbe stato attribuito da Joseph Zumstein in quanto questa cima è «collocata nella migliore posizione per le misurazioni trigonometriche». Joseph Zumstein, che fu tra i primi salitori della punta che poi prese il suo nome, era ispettore forestale in Valsesia.
BIBLIOGRAFIA
Gino Buscaini, MONTE ROSA, Guida dei Monti d’Italia, 1991, CAI/TCI Massimo Beltrame, MONTE ROSA. 250 ANNI DI SCALATE NELLA VOCE DEI PROTAGONISTI, 2022, Zeisciu
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