La parete Est del Monte Rosa (3)
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LA STORIA ALPINISTICA - PRIMA PARTE DAL PROLOGO SETTECENTESCO AI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO
La storia alpinistica della parete Est del Monte Rosa, dopo un breve prologo alla fine del Settecento, inizia nella seconda metà del secolo successivo, durante il cosiddetto periodo d’oro dell’alpinismo. Per redigere questa sintesi mi sono basato su due fonti molto ampie e documentate, la guida di Gino Buscaini e il recente volume di Massimo Beltrame, e su due testi più sintetici ma molto interessanti, uno di Silvia Metzeltin, l’altro di Alessandro Gogna (si veda la bibliografia in fondo alla pagina). Per illustrare visivamente i percorsi sulla parete mi sono servito invece del bellissimo schizzo che lo stesso Gino Buscaini ha realizzato per la guida. Devo per questo ringraziare Silvia Metzeltin (moglie dell’autore, purtroppo prematuramente scomparso) che ne ha autorizzato la pubblicazione. Per poter ammirare lo schizzo nella sua bellezza e senza le mie sovrascritture cliccare qui.
In questa prima pagina ho raccontato la storia alpinistica della parete dal prologo settecentesco ai primi anni del Novecento.
1. Prologo settecentesco
La storia alpinistica della parete Est ha un breve prologo settecentesco. Nel 1787, l’anno successivo alla prima salita del Monte Bianco, il conte torinese Carlo Lodovico Morozzo della Rocca risale con alcune guide il crestone che oggi è noto come crestone Marinelli, ma si ferma a 2900 metri per l’evidente difficoltà di proseguire l’ascensione. Due anni dopo (luglio 1789), nel corso di uno dei suoi viaggi sulle Alpi, giunge a Macugnaga lo scienziato ginevrino Horace-Bénédict de Saussure, colui che aveva promosso la prima salita del Monte Bianco e ne aveva effettuato la terza scortato da un gran numero di guide e portatori. De Saussure, col figlio Nicolas-Théodore e G.B. Jachetti, sale dall’Alpe Pedriola verso la cima del Pizzo Bianco, con lo scopo di esaminare la possibilità di salire la Est del Monte Rosa (che sta proprio lì di fronte). Non ne segue alcun tentativo e per i successivi ottant’anni la parete non conoscerà altri progetti di salita (almeno per quanto risulta dalle fonti che ho consultato).
2. La seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento
Nel 1867 gli inglesi Charles-Edward Mathews e Fredrick Morsehead con la guida Christian Almer salgono il Pizzo Bianco (prima salita) per studiare la parete. Dopo aver visto cadere diverse slavine in sole due ore, Almer mette fine al progetto: la parete è troppo pericolosa. Nel luglio del 1872 altre due guide svizzere, Ulrich e Christian Lauener, rinunciano a salire la parete con i loro clienti, ma ormai è solo questione di giorni. Nello stesso mese arrivano a Macugnaga gli inglesi Richard e William-Martin Pendlebury e Cahrles Taylor accompagnati dalla guida austriaca Gabriel Spechtenhauser. Il gruppo si incontra con la guida locale (ma nativa di Saas-Fee) Ferdinand Imseng, fermamente convinto della possibilità di salire la parete (nota 1). Il 21 luglio, assoldata anche una seconda guida locale, Giovanni Oberto, salgono lungo il crestone Marinelli, dove bivaccano a 2400 m. Il giorno dopo proseguono ancora un po’ lungo il crestone, traversano il canalone Marinelli e salgono lungo il crestone che oggi porta il nome di Imseng. Quindi affrontano la ripida parete ghiacciata soprastante (45°/55°) e raggiungono lo sperone roccioso della Punta Dufour: superando difficoltà di II e III con qualche passaggio di IV, si portano sulla cresta sommitale lungo la quale arrivano in vetta. E’ il 22 luglio 1872: la parete Est del Monte Rosa è stata salita per la prima volta e la via sarà in seguito conosciuta come via del canalone Marinelli e della cresta Est (D+).
Nel luglio del 1876 Imseng sarà di nuovo protagonista sulla parete insieme al fratello Abraham e all’alpinista milanese Luigi Brioschi, aprendo una bella via (nota appunto come via Brioschi) che supera la costola rocciosa più evidente e marcata della parete Est della Nordend (lungo la quale, però, si deve anche affrontare il ripidissimo pendio di ghiaccio o neve del cosiddetto lenzuolo). E’ una via impegnativa (passaggi di III+ sulle rocce e pendenze fino a 65° sul lenzuolo; TD-), ma più sicura di altre aperte sulla parete, per cui «ha avuto in seguito una certa fortuna, quindi parecchie ripetizioni: oggi è la più seguita» [Gogna].
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La parete Est del Monte Rosa con gli itinerari aperti nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento. 1. Cresta Signal (Punta Gnifetti); 2. Via del canalone Marinelli e della cresta Est (Punta Dufour); 3. Via Dorn (Nordend); 4. Via Restelli (Nordend); 5. Via Brioschi (Nordend) 6. Cresta di Santa Caterina (Nordend); 7. Colle Signal per il ghiacciaio del Signal; 8. Via Dorn allo Jägerjoch (tratteggiata perché puramente ipotetica e non presente nello schizzo originale di Gino Buscaini). O = Capanna Marinelli (dal 1886) - [Schizzo di Gino Buscaini] |
Purtroppo la parete Est sarà fatale per Imseng: nel 1881 giunge a Macugnaga Damiano Marinelli, esploratore e alpinista, con la fidata guida Battista Pedranzini. L’intenzione è quella di effettuare la terza salita (e la prima italiana) della via del 1872. Marinelli si rivolge proprio a Imseng che però vorrebbe rimandare perché la temperatura è alta. Marinelli insiste e la cordata, assoldato anche il portatore Alessandro Corsi, si mette in cammino (8 agosto). Quando si trovano a circa 3400 metri, sul crestone oltre il canalone Marinelli, una grossa valanga scende lungo la parete e il canalone. Il forte spostamento d’aria investe la cordata; Imseng, Pedranzini e Marinelli precipitano e muoiono (i corpi verranno recuperati tre giorni dopo), mentre il portatore si salva miracolosamente e scende a Macugnaga per portare la drammatica notizia. La disgrazia (la prima grande tragedia dell’alpinismo italiano) avrà una vasta eco e in parlamento si arriverà a chiedere di vietare le salite sulla parete Est del Monte Rosa (richiesta che non avrà alcun seguito). Negli anni successivi, a Marinelli saranno intitolati il crestone, l’adiacente canalone e, nel 1886, il bivacco che la Sezione di Milano del CAI farà costruire sullo stesso crestone roccioso. A Imseng sarà dedicato il crestone dove è avvenuta la tragedia, mentre a Pedranzini è intitolata una cima (Punta Pedranzini, 3599 m) nella sua Valfurva (Gruppo dell’Ortles-Cevedale).
Nel 1880, il 7 agosto, Karl Blodig con la guida Christian Ranggetiner raggiunge per la prima volta il Silbersattel, salendo lungo il versante di Macugnaga e scendendo in Svizzera: hanno seguito la via di Imseng fin quasi all’altezza delle prime rocce dello sperone Est della Dufour, per poi raggiungere il colle lungo il ripido pendio di ghiaccio alla sua destra. Tre giorni dopo Robert von Landenfeld con Joseph Knubel, Clemente Imseng (guide) e un portatore effettua la seconda salita della Dufour lungo la via dei primi salitori. Nel 1883 (14 agosto) Karl Schulz effettua la terza salita con le guide Alexander Burgener e Clemens Perren. Burgener, una delle più grandi guide del tempo, non ne riporterà una bella impressione e qualche anno dopo si rifiuterà di accompagnarvi Julius Kugy, il celebre alpinista triestino di nazionalità austriaca, cantore delle Alpi Giulie. La quarta ascensione (13-14 agosto 1884) vede impegnata per la prima volta sulla parete una cordata senza guide, composta dagli austriaci Ludwig Purtscheller, Emil e Otto Zsigmondy (nota 2). Due anni dopo entra in scena per la prima volta Matthias Zurbriggen, un’altra grande guida di Macugnaga (ma originario di Saas-Fee come Imseng) che lascerà un segno nella storia della parete: il 7 agosto 1886 partecipa alla quinta ripetizione della via con l’alpinista triestino Julius Prochaska e la guida Luigi Bonetti. Qualche giorno dopo (13 agosto), quest’ultimo ripeterà la via con Julius Kugy e la guida J.M. Lochmatter (sesta ripetizione).
Il 1887 è l’anno della cresta Signal, una cresta «complessa e rocciosa, a risalti, che dal Colle Signal si alza ripida fino alla sommità della Punta Gnifetti» [Buscaini] e che, nonostante la qualità non eccezionale della roccia e il terreno misto delicato, è divenuta un itinerario classico, «uno dei più interessanti e frequentati del Monte Rosa» [Buscaini], con passaggi da III a IV- su roccia (difficoltà complessiva D). La prima salita (28 luglio) è di Harold W. Topham con la guida Aloys Supersaxo e il portatore Abraham Imseng. La cordata ha raggiunto il colle dalla Valsesia, così come faranno, quattordici anni dopo (27 agosto 1891), i secondi salitori, Gudo Rey e Luigi Vaccarone con le guide Daniele e Antonio Maquignaz e due portatori.
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Particolare dello schizzo precedente con la parte superiore della parete e le vie di accesso al Colle Gnifetti (1893), al Colle Zumstein (1889) e alla Silbersattel (1880). La numerazione è quella degli itinerari nella guida di Gino Buscaini. |
Due anni dopo (1889) abbiamo la prima traversata del Colle Zumstein, da Macugnaga a Zermatt. La cordata è composta da Luigi Grasselli e Achille Ratti con le guide Giuseppe Gadin e Alessio Proment. Fin sotto le rocce della Dufour la salita non è una novità (seguendo la via dei primi salitori, ormai diverse cordate hanno percorso la parete), ma l’impresa ha due particolarità. Innanzitutto i due alpinisti sono entrambi sacerdoti. In sé, il fatto non deve stupire, perché di religiosi, cattolici o protestanti, è piena la storia dell’alpinismo, ma uno dei due, Achille Ratti, diventerà papa nel 1922 col nome di Pio XI e così il Colle Zumstein viene anche chiamato Colle del Papa (anche se fu proprio lui a proporre il nome di Colle Zumstein). Particolare è anche la modalità della salita: partiti il 30 luglio dalla Capanna Marinelli, raggiungono le rocce della Dufour e bivaccano sulla cima orientale; il giorno dopo (31 luglio) raggiungono la vetta vera e propria, tornano sulla punta orientale e si abbassano lungo lo sperone Est nel tentativo (vano) di recuperare la piccozza persa il giorno prima da Grasselli. Si abbassano fin poco sotto l’altezza del Colle Zumstein, traversano sul ghiacciaio, raggiungono il colle e scendono a Zermatt lungo il Grenzgletscher.
A questo punto dobbiamo parlare nuovamente della guida Matthias Zurbriggen che, nel settembre del 1893, apre due vie nuove sulla parete. La prima il 3 settembre, con Guido Rey, Luigi Vaccarone e le guide Luigi Burgener e Casimiro Térisod. Dopo aver pernottato alla Capanna Marinelli, salgono lungo la via del 1872 fino a 4200/4250 metri, sotto le rocce della Dufour. Da qui traversano la parete glaciale sotto la Punta Zumstein e raggiungono il Colle Gnifetti (difficoltà D). Saliranno quindi sull’omonima punta, in tempo per partecipare all’inaugurazione della Capanna Margherita. L’11 settembre, Zurbriggen è di nuovo in azione sulla parete: con l’alpinista Carlo Restelli e la guida Luigi Burgener risale i pendii ghiacciati a destra del Canalone Marinelli, raggiungendo la parete rocciosa a sinistra della via Brioschi. Seguendo risalti e crestoni e percorrendo anche un caratteristico nevaio a ipsilon, la cordata raggiunge la vetta della Nordend: nasce così la via Restelli (D+/TD-). In seguito Zurbriggen effettuerà le prime tre ripetizioni della stessa via: nell’agosto del 1905 con Graziadio Bolaffio e la guida Cyprien Savoie, nell’agosto del 1906 con Julius Kugy e la guida Joseph Croux, nel settembre dello stesso anno con Giuseppe Lampugnani. Se teniamo conto che ha effettuato anche la prima ripetizione della sua via al Colle Gnifetti (nel 1906 con Graziadio Bolaffio e la guida Joseph Croux) e la quinta salita della Dufour lungo la via del 1872, possiamo ben capire perché a Macugnaga era conosciuto come il Signore della Parete Est del Monte Rosa (nota 3).
Siamo ormai giunti agli inizi del Novecento. Nel 1901 tre alpinisti senza guide aprono una nuova via sulla Nordend. Il 18 agosto, Giuseppe Dorn, J. Brindlinger e Friedrich Reichert, dopo aver attraversato il canalone Marinelli e risalito il crestone Imseng, si spostano a destra e, seguendo uno sperone roccioso e la successiva parete ghiacciata (sono tra i primi a utilizzare i ramponi), raggiungono la cresta Sud della Nordend e quindi la cima (via Dorn, difficoltà TD-). Dorn, come i suoi compagni di cordata, è tedesco, ma lavora a Milano e spesso arrampica in Grigna. Due giorni prima (16 agosto) aveva compiuto da solo la prima salita da Est allo Jägerjoch, il colle che si trova al limite settentrionale della parete, tra la cresta di Santa Caterina e lo Jägerhorn: dalla base del canalone più settentrionale della parete Est della Nordend, era salito per una costola rocciosa e poi per nevai e detriti fino alla sella del passo (difficoltà probabile AD). Per rimanere nell’ambito degli alpinisti che affrontano la montagna senza guida, dobbiamo ricordare anche Giacomo Dumontel e Giuseppe Lampugnani, che il 28 luglio del 1908 compiranno la terza salita al Colle Gnifetti lungo la via del 1893.
Nel 1906 è la volta della cresta di Santa Caterina, che nel 1899 era già stata percorsa in discesa, con l’aiuto delle corde, da Walter Flender con le guide Heinrich Burgener e Ferdinand Furrer (la cresta fu percorsa in discesa ancora due volte: nel 1901 e nel 1902). In una data imprecisata del 1906 viene invece effettuata la prima salita della via. Protagonisti dell’impresa sono le guide svizzere Franz e Joseph Lochmatter (fratelli) e l’alpinista inglese Valentine John-Eustace Ryan. Nel 1923, Franz Lochmatter effettuerà anche la prima ripetizione della salita con Louise Kuhn e la guida Albert Fuchs. E’ un percorso impegnativo, che sui risalti rocciosi della prima parte, sopra lo Jägerjoch, presenta passaggi fino al V+ (difficoltà complessiva TD+).
Nello stesso 1906 (15 luglio) Vittorio Ronchetti e le guide Battista e Bernardo Confortola (padre e figlio) raggiungono, per la prima volta dal versante di Macugnaga, il Colle Signal. La cordata risale il ghiacciaio del Signal, «sconvolto da seracchi e crepacci», in un «ambiente fantastico» [Buscaini] e poi, raggiunto il colle (difficoltà D-/D), prosegue lungo l’omonima cresta fino alla Punta Gnifetti (tutto nella stessa giornata). Questo versante del colle, in realtà, era già stato percorso una volta, ma in discesa, da John Reeves Ellermann con le guide Abraham Imseng e Ludwig Zurbriggen nel corso di un’incredibile traversata (in poco più di 20 ore!) da Zermatt a Macugnaga passando per Colle Sesia e, appunto, il Colle Signal (20 luglio 1882). Va comunque detto che chi parte da Macugnaga per salire la cresta Signal, preferisce di gran lunga raggiungere il Colle Signal passando dal Colle delle Locce (3334 m) e traversando la Punta Tre Amici (3780 m), sulla cui cresta sommitale si trova, dal 1927, la Capanna Luigina Resegotti (3624 m). Così, per fare un esempio che mi è particolarmente caro, fecero mio padre e i suoi amici nel 1949 (15-16 agosto).
NOTA 1. Ferdinand Imseng nacque a Saas Fee (Svizzera) probabilmente nel 1845. Grazie alla sua attività di cacciatore di camosci divenne guida alpina già in giovane età. Non avendo molto successo nella valle natale, a 20 anni emigrò a Macugnaga attraverso il Passo di Monte Moro; qui lavorò nelle miniere, ma continuò anche l’attività di cacciatore e di guida. Sicuro della possibilità di scalare la parete Est del Monte Rosa, nel 1872 convinse gli inglesi Richard e William Martin Pendlebury e Charles Taylor, giunti a Macugnaga con la guida austriaca Gabriel Spechtenhauser, ad affrontare la salita. Aggregata anche una seconda guida di Macugnaga, Giovanni Oberto, Imseng condusse il gruppo nella prima salita alla Punta Dufour (22 luglio 1872). Qualche giorno dopo, la stessa cordata salì il Cervino (4478 m) per la cresta dell’Hornli (via normale svizzera). Imseng (divenuto ormai una guida famosa) vi tornerà ancora tre volte e tre volte salirà la stessa cima lungo la cresta del Leone (via normale italiana). Sulla parete Est del Monte Rosa, insieme al fratello Abraham, aprirà una seconda nuova via alla Nordend con l’alpinista milanese Luigi Brioschi (via Brioschi; 1876). Nella sua attività di guida ci sono molte altre salite con diversi clienti, soprattutto inglesi e italiani. Tra queste ci sono ancora alcune prime ascensioni. Nel 1872 (5 settembre) salì la cresta Sud-Est dello Zinalrothorn (4221 m) con George Augustus Passingham e la guida Franz Andenmatten, insieme alla cordata di Clinton Thomas Dent con la guida Alexander Burgener. Nel 1878 vinse la cresta Nord del Rimpfischhorn (4199 m) con George Augustus Passingham e la guida Ludwig (Louis o Alois) Zurbriggen. Nel 1879 condusse la prima salita della parete Ovest del Weisshorn (4506 m) con Georg Augustus Passingham e Ludwig Zurbriggen; nello stesso anno portò a termine anche la prima salita (parziale perché la vetta fu raggiunta dalla cresta di Zmutt) della parete Ovest del Cervino con William Penhall e ancora Ludwig Zurbriggen (via Penhall). Due anni dopo, il primo agosto 1881, effettuò la prima salita della cresta Nord-Ovest della Dent d’Hérens (4174 m) con F. Hicks e T.P.H. Jose. Fu la sua ultima impresa. Rientrato a Macugnaga, incontrò l’alpinista italiano Damiano Marinelli e la sua guida Battista Pedranzini della Valfurva, giunti in Valle Anzasca con l’intenzione di effettuare la prima salita italiana della Punta Dufour dalla parete Est. Imseng, però, esitava e avrebbe voluto rimandare perché faceva troppo caldo. Marinelli fu irremovibile e la guida finì per accettare. Assoldato Alessandro Corsi come portatore, la cordata si mise in movimento la mattina dell’8 agosto. Risalirono il crestone che poi sarà intitolato a Marinelli, ma Imseng voleva bivaccare più in alto rispetto al 1872 ed evitare l’attraversamento notturno del canalone. Purtroppo fu un errore, forse dettato da un eccesso di audacia da parte di Imseng, perché la cordata finì per trovarsi in una zona pericolosa alle 16,30, sulle rocce di quel crestone che poi diverrà il crestone Imseng. Un’enorme valanga spazzò la parete e il canalone, provocando un violento spostamento d’aria che sbalzò gli alpinisti dalle rocce e li fece precipitare. Il portatore, Alessandro Corsi, si salvò miracolosamente e scese a Macugnaga a portare la drammatica notizia. Nei giorni successivi i corpi dei tre alpinisti precipitati verranno ritrovati a grande distanza l’uno dall’altro e gravemente deturpati dalla caduta. Verranno sepolti nel cimitero di Macugnaga, intorno alla Chiesa vecchia (il corpo di Marinelli verrà poi esumato e traslato ad Ariccia, sua città natale, per volontà dei familiari). Sulla parete della chiesa una targa voluta dalla sezione del CAI di Domodossola ricorda ancora oggi la tragedia; sulla tomba di Imseng una breve frase ne delinea un efficace ritratto: “bonne guide et honnête homme”. Sulla tragedia del 1881 è molto interessante la lettura del bel libro curato da Erminio Ferrari e Alberto Paleari, UNA VALANGA SULLA EST, uscito nel 2006 per l'editore Tararà di Verbania.
NOTA 2. Commentando questa salita, Alessandro Gogna ha scritto: «Che qualcuno abbia avuto l’ardire, nel 1884, di salire senza l’esperienza di una guida, senza cioè nessuno che conoscesse in precedenza la montagna o che fosse in grado fisicamente di scavare mille gradini e anche più nella neve, è di una nobiltà davvero straordinaria. Un coraggio da leoni, se guardiamo a come allora si salivano quelle difficoltà. Oggi, con le quattordici punte dei nostri ramponi e con un allenamento adeguato, ci sembra facile salire da lì. Ci rimane difficile capire come potessero farlo con i mezzi primitivi di cui disponevano». NOTA 3. Matthias Zurbriggen, una delle più famose guide alpine di fine Ottocento, nacque a Saas Fee (Svizzera) nel 1856. Quando il padre decise di emigrare a Macugnaga per cercare lavoro nelle miniere d’oro, portò con sé tutta la famiglia, e il piccolo Mattia, che aveva due anni, attraversò il Passo di Monte Moro sulle spalle del genitore. A otto anni dovette iniziare a lavorare perché il padre era morto in un incidente in miniera, lasciando la famiglia nella desolazione. Per alcuni anni fece il malgaro con il fratello maggiore, poi, nel 1870, decise di tornare in Svizzera a cercare maggior fortuna. Lavorò come stalliere, minatore, operaio tessile, cocchiere e fabbro; emigrò anche in Algeria, dove lavorò come fabbro per alcuni mesi, poi tornò a Macugnaga (1881), per salutare la famiglia prima di emigrare di nuovo, questa volta verso il Cile. Poi cambiò idea, forse per le insistenze della madre (che intanto si era risposata), e decise di rimanere; aprì una piccola fucina, ma la sua aspirazione era un’altra: diventare guida alpina. Cominciò come portatore (lavorò anche alla costruzione della Capanna Marinelli) e finalmente divenne guida. Nel 1886 venne ingaggiato dai triestini Prochaska e Kugy, giunti a Macugnaga con la guida Luigi Bonetti per salire la via aperta da Imseng sulla Punta Dufour (Kugy poi dovette rientrare precipitosamente a Trieste e tornerà qualche giorno dopo per fare la salita con la guida Bonetti). Il successo della salita gli procurò nuovi clienti e presto divenne una guida assai richiesta anche dagli alpinisti più in vista del tempo. Nel 1892 l’inglese William Martin Conway lo volle con sé nella spedizione che aveva organizzato per esplorare una vasta zona del Karakorum; salirono diverse cime inviolate, la più alta delle quali fu il Pioneer Peak (6890 m), nella zona del Baltoro Kangri. L’anno successivo, come abbiamo già visto, Zurbriggen aprì le sue due vie sulla parete Est del Monte Rosa: la prima (3 settembre) è quella che conduce al Colle Gnifetti dalla Capanna Marinelli, la seconda (11 settembre) è la via Restelli alla Nordend. Nel 1894, venne ingaggiato dall’alpinista americano Edward Arthur Fitgerald per una spedizione sulle montagne della Nuova Zelanda, durante la quale vennero compiute le prime ascensioni del Monte Tasman (3497 m) e del Monte Sefton (3151 m). Infine, ottenuto il permesso del capo spedizione, Zurbriggen salì da solo e per una via nuova, il Monte Cook (3724 m), la cima più alta della Nuova Zelanda. Tornò in quelle terre anche l’anno successivo, accompagnando l’industriale Giuseppe Borsalino (l’inventore del celebre cappello) come guida e come interprete (Zurbriggen parlava diverse lingue: italiano, tedesco, inglese, francese e anche un poco di hindu), tuttavia il maltempo impedì loro di compiere ascensioni. Nel 1896 (8 settembre) guidò i fratelli Gugliermina (Giovanni Battista e Giuseppe Fortunato) e il portatore Nicola Lanti nella prima salita al Colle Vincent, sul versante valsesiano del Monte Rosa. Poi E.A. Fitzgerald lo volle di nuovo con sé, questa volta per una spedizione nelle Ande e Zurbriggen coinvolse anche i colleghi vallesani Joseph e Loius Pollinger e Joseph Lochmatter oltre a Nicola Lanti. Obiettivo della spedizione era la cima più alta del continente americano, l’Aconcagua (6961 m); il 14 gennaio 1897 Zurbriggen e Fitzgerald erano giunti a quasi 500 metri dalla vetta, quando l’alpinista americano si arrese. Ottenuto il permesso del cliente, Zurbriggen raggiunse da solo la vetta, realizzando così la prima ascensione della grande montagna. Nella stessa spedizione, con l’inglese Stuart Vines, la guida realizzò anche la prima ascensione del Tupungato (6570 m). L’anno successivo era di nuovo in azione sul versante valsesiano del Monte Rosa: con i fratelli Gugliermina e la guida Clemente Imseng realizzò la prima salita (10-11 settembre 1898) del colle tra lo Schwarzhorn e la Ludwigshöhe che da allora, su proposta dei Gugliermina, si chiama Colle Zurbriggen. Nel 1899 si recò nuovamente nel Karakorum e guidò i coniugi alpinisti Fanny Bullock e William Workman alla conquista di tre cime non ancora salite, tra cui il Koser Gunge o Khosar Gang (6.400 m), per citare almeno la più alta. Nell’estate del 1900 Zurbriggen partecipò con il giornalista valdostano Jules Brocherel alla spedizione organizzata dal principe Scipione Borghese per esplorare la regione del Tien Shan nel Kyrghizistan, tra l’Asia centrale e l’Asia Orientale. Due anni dopo (1902), con il portatore Giuseppe Muller di Macugnaga, tornò nel Karakorum con i coniugi Bullock-Workman per l’esplorazione del ghiacciaio Chogo Lugma, uno dei più vasti del settore centrale. Tornato in Italia, continuò l’attività di guida, ma dedicandosi solo alla ripetizione di itinerari già conosciuti, come le sue vie sulla parete Est del Monte Rosa: come abbiamo già detto, nel 1905 fece la prima ripetizione della via Restelli alla Nordend, mentre nel 1906 condusse le terza e la quarta ripetizione della stessa via e la prima ripetizione della via sua via del 1893 al Colle Gnifetti. Poi la vita di quella che era stata una delle più grandi e stimate guide dell’epoca cominciò a riempirsi di ombre. Zurbriggen divenne litigioso, si ubriacava spesso e denigrava i colleghi; ad un certo punto lasciò Macugnaga, abbandonando moglie e figli. Di lui non si seppe più nulla per anni, finché il 21 luglio del 1917 non venne ritrovato un barbone impiccato in uno scantinato di Ginevra. Quel suicida era Mattia Zurbriggen. Il ricordo dei suoi anni migliori e delle sue imprese è affidato ad alcuni luoghi che portano il suo nome: due colli, uno sul Monte Rosa e uno sui monti della Nuova Zelanda, e una cima nelle Ande, vicino all’Aconcagua. Dal 1997 al Passo di Monte Moro c’è una targa che ricorda la sua salita dell’Aconcagua di cento anni prima: l’anno voluta il CAI di Macugnaga e il CAS di Saas. Zurbriggen ci ha lasciato anche un’autobiografia, Dalle Alpi alle Ande. Memorie di una guida alpina, pubblicata per la prima volta a Londra nel 1899; la traduzione italiana arrivò solo un secolo dopo, nella serie I Licheni dell’editore Vivalda.
BIBLIOGRAFIA
Gino Buscaini, MONTE ROSA, Guida dei Monti d’Italia, 1991, CAI/TCI Silvia Metzeltin, STORIA ALPINISTICA, in Gino Buscaini op. cit. pp. 59-67 Massimo Beltrame, MONTE ROSA. 250 ANNI DI SCALATE NELLA VOCE DEI PROTAGONISTI, 2022, Zeisciu Alessandro Gogna, LA EST DEL MONTE ROSA, relazione al convegno nazionale del CAAI, Domodossola, 12 ottobre 2019 [reperibile in rete https://gognablog.sherpa-gate.com/la-est-del-monte-rosa/]
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