La parete Est del Monte Rosa (4)

 

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LA STORIA ALPINISTICA - SECONDA PARTE

DAGLI ANNI VENTI DEL NOVECENTO ALLE SOGLIE DEL NUOVO MILLENNIO

 

Nel corso del Novecento molti nuovi itinerari vengono aperti sulla parete Est del Monte Rosa, sia sulla Nordend che, ed è la novità, sulle pareti della Zumstein (caratterizzata da grandi salti di ghiaccio) e della Gnifetti (con le sue difficili nervature rocciose). Molte cordate, come si vedrà, sono composte esclusivamente da guide, che non affrontano più la montagna solo per condurvi i clienti, ma anche per seguire la propria passione e i propri obiettivi alpinistici. Per la stesura di questa seconda parte mi sono avvalso delle stesse preziose fonti utilizzate per la prima (le riporto nuovamente in fondo alla pagina); ho utilizzato di nuovo anche lo schizzo di Buscaini (cliccare qui per vederlo senza le mie sovrascritture), che però non riporta le vie degli anni Novanta, dato che è stato realizzato prima e pubblicato sulla guida del Monte Rosa edita nel 1991.

 

1. Dagli anni Venti alla fine degli anni Quaranta

 

Dopo la prima guerra mondiale, la prima via nuova viene aperta sulla parete Est da un gruppo di guide valdostane (Alberto e Amato Bich, Battista e Camillo Maquignaz, Giuseppe Pession) che raggiunge il Colle Zumstein (14 agosto 1925) durante la ricerca del collega Casimiro Bich, precipitato dal Colle Gnifetti a causa di un violenta raffica di vento e i cui poveri resti verranno restituiti dal ghiacciaio solo nel 1971. Le guide risalgono il crestone che poi sarà dedicato a Ettore Zapparoli (II con passi di III e IV), procedono sulla parete ghiacciata soprastante e, verso destra, raggiungono il pendio terminale quasi sotto la Punta Dufour, lungo il quale salgono al colle. E’ un itinerario ardito (difficoltà stimata: TD-), ma «pericoloso perché quasi sempre esposto alla caduta di seracchi» [Buscaini]. Oggi credo che sia impraticabile a causa dei crolli avvenuti negli ultimi sotto l’occhio della Zumstein.

 

Gli anni Trenta si aprono con una grande impresa, la prima effettuata nel cuore del versante nord-orientale della Punta Gnifetti. Protagonisti sono gli alpinisti francesi Jacques Lagarde, «un genio dell’arrampicata su ghiaccio» [Gogna], e Lucien Devies. Dopo aver bivaccato a circa 2700 m, su uno sperone ancora erboso, risalgono il ghiacciaio del Signal e, spostandosi a destra, raggiungono il grande pendio di ghiaccio e neve a destra della nervatura centrale; lo risalgono interamente fino al dosso nevoso (la schiena d’asino) alla sommità della nervatura rocciosa. Da qui, spostandosi ancora a destra, superano un lungo tratto di misto e poi un pendio ghiacciato molto ripido che li porta fuori dalla parete e, infine, alla cima e alla Rifugio Margherita. E’ nata così (17 luglio 1931) la via dei francesi. «Grandioso e magnifico itinerario [...], uno dei più lunghi e interessanti delle Alpi» [Buscaini], che i primi salitori effettuarono senza l’uso di chiodi. né da roccia né da ghiaccio.

 

Nel 1933 (20-22 agosto), Remo MInazzi, Dario Palazzolo e Arturo Peirano ripetono la via aprendo una variante inferiore sulle rocce della nervatura centrale; la seconda ripetizione è opera di Enrico Adami e Agostino Cicogna (18-19 agosto 1940); la terza (28 luglio 1954) vede impegnata la guida di Macugnaga Giuseppe Oberto (di cui riparleremo nella terza parte) con M.C Carnevali. Nel 1956, nel corso di un'altra ripetizione della via, l’alpinista austriaco Kurt Diemberger aprirà una bella variante superiore che, in seguito, verrà sovente preferita alla linea originale. Dalla schiena d’asino, Diemberger e il compagno attraversano a sinistra fino a imboccare un ripido canale di neve o ghiaccio che porta al ripido pendio finale già salito dal Lagarde e Devies nel 1931.

 

Ancora nel 1931, il 2 settembre, i biellesi Massimo Magliola e Giuseppe Mosca con le guide di Macugnaga Cesare Pironi e Zaverio Zurbriggen realizzano la prima discesa dell'intero Canalone Marinelli dal Silbersattel. Due anni dopo, il 24 luglio 1933, la stessa cordata sale alla Punta Gnifetti per la nervatura di destra, raggiungendola con una lunga traversata obliqua nel cuore della parete Est a partire dalla Capanna Marinelli. Dalla sommità del crestone Imseng e passando un centinaio di metri sopra il crestone Zapparoli, i quattro arrivano alla base della nervatura che salgono con percorso di misto e poi per un pendio ghiacciato che porta fuori dalla parete (difficoltà D+). Il percorso verrà “raddrizzato” più avanti, nel corso della prima invernale del 1977 (come diremo nella terza parte).

 

A questo punto dobbiamo parlare di Ettore Zapparoli (nota 1), un alpinista che ha profondamente (forse anche ossessivamente) amato la parete Est del Monte Rosa, affrontandola più volte in solitaria e, purtroppo, trovandovi la morte. Nel 1934 (18-19 agosto), dopo aver già salito la Punta Dufour per la via del canalone Marinelli (24-25 agosto 1929; prima solitaria italiana), apre una via diretta al Colle Gnifetti. Dopo aver bivaccato alla sommità del crestone che porta il suo nome (già superato dalle guide valdostane nel 1925), affronta un pendio di neve e ghiaccio e poi un ripido scivolo di misto (passaggi di IV, pendenze fino a 55°) che arriva direttamente al colle. E’ una via «ardita» ed «elegante» (difficoltà stimata TD-), ma anche «pericolosa perché sempre esposta alla caduta di sassi e di ghiaccio» [Buscaini]. Oggi la via non c’è più, cancellata dalle valanghe che l’hanno privata dell’intera copertura glaciale [Beltrame].

 

Nel 1937 (20-21 agosto) Zapparoli apre una seconda via nuova, questa volta sulla parete Est della Nordend. Dal crestone Marinelli risale i pendii fin quasi sotto lo sperone della via Brioschi, poi attraversa a destra la parte alta del ghiacciaio della Nordend fino all’ultimo crestone della parete; lo risale su terreno misto ed esce sulla cresta sommitale, a Nord della cima, per un ripidissimo muro di ghiaccio (D+). Zapparoli dedicherà la salita all’amico alpinista Guido Rey, il poeta dell’alpinismo, per cui la via è nota come cresta del Poeta

 

Dopo la seconda guerra mondiale, cui partecipa prima nell’esercito e poi collaborando con la resistenza, Zapparoli torna in parete e firma la sua ultima via nuova, il canalone della Solitudine (TD-), che sale nevoso a destra della via precedente (17-18 settembre 1948). In realtà Zapparoli non segue il canalone fino all’uscita sulla cresta sommitale della Nordend, ma ne percorre quasi due terzi, uscendone a destra, all’altezza dello Jägerjoch. Il percorso completo verrà effettuato in occasione della prima salita invernale, nel 1971 (come vedremo nella terza parte). Tre anni dopo (1951) avviene la tragedia: Zapparoli sale nuovamente e da solo lungo la parete Est, molto probabilmente con l’obiettivo di aprire una nuova via di salita alla Punta Zumstein. Viene visto per l’ultima volta col binocolo dalla guida Zaverio Lagger, custode del Rifugio Zamboni, nella zona sopra il crestone che poi gli sarà intitolato, uno dei punti più pericolosi della parete. E’ il 18 agosto (o il 19 secondo Beltrame): Zapparoli scompare sulla parete. I suoi poveri resti verranno restituiti dal ghiacciaio nella tarda estate del 2007 e sarà necessario l’esame del DNA (voluto dai parenti) per riconoscerli come suoi.

 

Torniamo alla parete e alla sua storia alpinistica. Nel 1949 (18-20 settembre) le guide di Macugnaga Clementino e Felice Jacchini ed Erminio Ranzoni aprono una nuova via sulla a sinistra della via Restelli, salendo per risalti di roccia e tratti di misto (passaggi fino al V; difficoltà complessiva TD) e arrivando in vetta alla Nordend [nello schizzo qui sotto ho segnato la parte finale con una serie di puntini perché è un tracciato ipotetico, non presente nel disegno originale di Buscaini].

 

La parete Est del Monte Rosa con gli itinerari aperti tra gli anni Venti e la fine degli anni Quaranta.

1. Via dei francesi (Punta Gnifetti); 1a Via dei francesi, variante Diemberger (1956); 2. Via della nervatura di destra (Punta Gnifetti); 2a. Via della nervatura di destra - variante diretta (1977); 3. Via diretta Zapparoli al Colle Gnifetti; 4. Colle Zumstein dal crestone Zapparoli (via delle guide valdostane); 5. Via Ranzoni-Jacchini (Nordend); 6. Cresta del Poeta (Nordend); 7. Canalone della Solitudine (Nordend) con la possibile uscita di Zapparoli (puntini rossi) e il percorso completo del 1971 (puntini blu). O = Capanna Marinelli - [Schizzo di Gino Buscaini]

 

2. Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta

 

Nel 1958 (27-28 luglio), Chiaffredo (Dino) Del Custode e Stefano Zani (entrambi guide alpine) aprono una via sulla parete orientale della Punta Zumstein, proprio nella zona dove era scomparso Zapparoli nel 1951. Dalla sommità del crestone Zapparoli, salgono verso destra per risalti di ghiaccio, oltrepassano sulla destra l’occhio della Zumstein su muri di ghiaccio e, aggirando qualche seracco, raggiungono la cima salendo verso sinistra i pendii terminali. Si tratta di una salita di notevole impegno (TD) e rischiosa, perché quasi tutta esposta alla caduta di ghiaccio e di pietre. Oggi la via non esiste più perché cancellata dai grandi crolli di ghiaccio degli ultimi anni.

 

Nel 1959 (15-16 agosto) una cordata inglese (C.J. Mortlock, Wilfrid Noyce e J.R. Saderle) affronta di nuovo la parete Nord-Est della Punta Gnifetti aprendo la cosiddetta via trasversale (difficoltà presumibile TD-). Attaccano il pendio nevoso a destra delle rocce basali della nervatura di sinistra, attraversano la nervatura centrale e, sempre verso destra, anche il pendio ghiacciato della via dei francesi al di sopra del grande seracco. Infine attraversano anche la parte superiore della nervatura di destra ed escono sui pendii nevosi tra il Colle e la Punta Gnifetti.

 

Tre anni dopo, nel 1962, la cordata Corti-Ferrari raggiunge la cresta Sud della Nordend, 150 metri a destra del Silbersattel, superando due costole rocciose appena affioranti dal pendio ghiacciato (D+) e aprendo una variante alla via normale per il colle.

 

Agli inizi degli anni Settanta, Adriano Gardin (guida) sale da solo (18-19 settembre 1971) una via molto pericolosa (caduta di sassi) lungo i nevai e le fasce rocciose presso la nervatura di sinistra della Punta Gnifetti. In alto si sposta a destra, raggiunge la schiena d’asino e raggiunge la cima lungo la via dei francesi (TD con passaggi di roccia fino al IV+). L’anno successivo (1972) Paolo Borghi e Ambrogio Cremonesi aprono un bellissimo itinerario sulla stessa parete: salgono dapprima le rocce della nervatura di sinistra, poi affrontano la parete Est della nervatura centrale (roccia solida) e raggiungono la schiena d’asino, risalendola fino al suo termine. Si spostano a sinistra, poi salgono le rocce a destra del canale di neve o ghiaccio della variante Diemberger, uscendo dalla parete e raggiungendo infine la cima. Nasce così la via del Centenerio, il cui nome ricorda i cento anni trascorsi dalla prima salita della parete Est, avvenuta appunto nel 1872 (difficoltà: ED, con numerosi passaggi di VI). «Itinerario superbo, diretto, forse il più sicuro sulla parete orientale del Monte Rosa», così lo definisce Buscaini nella sua guida (1991).

 

Nel 1976 vengono aperte altre due vie nuove. Il 24 e 25 giugno le guide di Macugnaga Claudio Schranz e Marco Roncaglioni superano la parete orientale della Punta Zumstein con un itinerario grandioso (via CAI Macugnaga; TD) che, dopo aver seguito quello del 1958 (Del Giudice-Zani) fin sotto l’occhio della Zumstein, affronta i seracchi alla sua sinistra, raggiungendo direttamente la cima. Anche questa via, come la Del Giudice-Zani, è stata cancellata dai grandi crolli di ghiaccio che hanno lasciato il posto a muri di roccia verticali. Il 24 agosto, Walter Romen e Gianni Tagliaferri raggiungono il Colle Gnifetti per la nervatura Nord-Est. Partendo dalla Capanna Marinelli, traversano la parete e si portano sopra il crestone Zapparoli, poi affrontano la nervatura rocciosa (alta circa 600 metri) a sinistra degli scivoli di ghiaccio della via diretta aperta da Zapparoli nel 1934. Lungo le rocce affrontano passaggi assai impegnativi, con difficoltà anche di V e VI grado (TD). Romen e Tagliaferri dedicano la via al milanese Gianni Rapetti, Presidente Onorario della Scuola di Sci Macugnaga (via del Presidente).

 

Nel 1977 (6 ottobre) le guide Primo Bonasson e Gianni Tagliaferri superano la parete Sud della cresta di Santa Caterina partendo dal Canalone della Solitudine raggiunto in traversata dalla Jägerjoch. La via sale al centro della parete su roccia solida e poi su ghiaccio e misto fino al quarto risalto della cresta e quindi alla sua sommità, quota 4252 m (IV, V e V+). Invece di proseguire verso la Nordend, Bonasson e Tagliaferri sono discesi lungo la medesima parete.

 

A metà degli anni Ottanta due nuove vie vengono aperte sulla Nordend. Il 14 febbraio 1984 Alberto Paleari (guida alpina) e Tullio Vidoni salgono i 1000 metri di dislivello del canale «stretto e complesso» [Buscaini] che sale con andamento sinuoso tra le costole rocciose della via Brioschi e della cresta del Poeta. Questa grande via di ghiaccio e misto, detta appunto del canale sinuoso, è minacciata dal seracco che ne chiude la sommità e, per i pericoli oggettivi che presenta, è da percorrere solo con basse temperature e tempo stabile (difficoltà TD-).

 

Nello stesso anno entra in scena sulla parete Est della Nordend l’alpinista francese Patrick Gabarrou (anche lui guida alpina) che poi, nel decennio successivo, aprirà altre due vie sul versante Nord-Est della Punta Gnifetti. Con Christophe Viard, Gabarrou attacca la parete dal basso, risalendo tutto il tormentato e complesso ghiacciaio della Nordend e raggiungendo l’imbocco del canale sinuoso senza passare dalla Capanna Marinelli. Dopo aver percorso per un tratto il canale, i due alpinisti si spostano a sinistra, raggiungono e superano la cascata di ghiaccio che scende dal lenzuolo e percorrono nel mezzo questo grande pendio di neve o ghiaccio. Infine si collegano con la via Brioschi e raggiungono la cima. Nasce così la via direttissima per il «lenzuolo» (18-19 giugno 1984; difficoltà TD+).

 

La parete Est del Monte Rosa con gli itinerari aperti tra gli anni Cinquanta e la metà degli anni Ottanta.

1. Via Gardin (Punta Gnifetti); 2. Via del Centenario (Punta Gnifetti) - nella parte alta sembra coincidere con la variante Diemberger dello schizzo precedente perché i due tracciati sono molto vicini; 3. Via trasversale (Punta Gnifetti); 4. Via del Presidente (Colle Gnifetti); 5. Via CAI Macugnaga (Punta Zumstein); 6. Via Del Custode-Zani (Punta Zumstein); 7. Via Corti-Ferrari (Silbersattel); 8. Via direttissima per il «lenzuolo» (Nordend); 9. Via del canalone sinuoso (Nordend); 10. Via Bonasson-Tagliaferri alla cresta di Santa Caterina (quota 4352 m). O = Capanna Marinelli - [Schizzo di Gino Buscaini]

 

3. Dagli anni Novanta alle soglie del nuovo Millennio

 

Arriviamo infine agli anni Novanta, quando ad aprire nuove vie sulla Est arrivano, oltre a Gabarrou, anche gli alpinisti sloveni. L’unica eccezione è rappresentata dalla guida macugnaghese Claudio Schranz, che incontreremo di nuovo nella parte dedicata alle salite solitarie e alle invernali. Con Marco Perini, Schranz apre una nuova via sulla parete, collegando in diagonale la via classica alla Punta Dufour con la cima della Nordend (via Francesca Schranz, 18 agosto 1991).

 

L’alpinismo sloveno si stava allora affermando sulla scena internazionale, con grandi salite sulle montagne del mondo, non solo nelle Alpi. Alcuni giovani esponenti di questa scuola mettono gli occhi sulla grande parete orientale del Monte Rosa, in particolare sul settore sinistro della parete Nord-Est della Punta Gnifetti, tra la cresta Signal e la nervatura centrale. Nel luglio del 1990, Vanja Furlan e Bojan Pockar attaccano nel settore più vicino alla cresta Signal, salgono per canali e rigole di ghiaccio, poi traversano a destra una zona di misto difficile e, infine, raggiungono la Punta Gnifetti seguendo la variante Diemberger. Nasce così la via Gringo (14-15 luglio; difficoltà ED- con passaggi di VI- su roccia). La via conta due ripetizioni: Tadej Golob e Štefan Mlinavič, entrambi sloveni (settembre 1993); Patrick Gabarrou e Christophe Dumarest (22 settembre 2008).

 

Bojan Pockar torna sulla Gnifetti due anni dopo con Matjaž Jamnik. Salgono a destra della via Gringo e proseguono per tratti di ghiaccio, neve e misto superando passaggi ripidissimi su ghiaccio (80°/90°) e molto impegnativi su roccia (V, VI, VI+ e A0). Intorno ai 4300 metri si immettono su Gringo e raggiungono la cima, aprendo così la via No pasaran (7-8 marzo 1992). I due alpinisti sono di nuovo in azione sulla stessa parete il 27 giugno 1993: salgono un canale a sinistra della nervatura centrale poi, incrociando prima la via Gardin e poi la Gringo (a 4350 m), raggiungono la cima aprendo così  la Diretta slovena. «E’ una scalata di grande difficoltà e respiro: su roccia si raggiunge il VII- e l’A2, su ghiaccio l’inclinazione è di circa 65°. Dislivello identico come per le altre salite slovene alla parete [2350 metri dal ghiacciaio, di cui 1250 per la parete vera e propria]. Difficoltà tra le più alte del Monte Rosa e delle Alpi: ED+» [Beltrame].

 

Per concludere la storia della parete dobbiamo parlare nuovamente di Patrick Gabarrou. Nel 1994 (28-29 marzo) affronta la parete Nord-Est della Punta Gnifetti con il catalano Ferran Latorre. I due alpinisti salgono a destra della via Gardin, poi la incrociano in alto e, ricongiungendosi con la variante Diemberger, raggiungono la cima. La salita si conclude in una tremenda bufera e per questo Ferran propone di chiamare la via Dies Irae (TD-). Nella stessa primavera, Gabarrou torna sulla parete con l’alpinista tedesco Tobias Heymann per tentare una via diretta, ma i due sono respinti dal maltempo. Il 16 maggio Heymann muore travolto da una valanga (a soli 28 anni) e Gabarrou, turbato dalla disgrazia, decide di portare a termine il progetto per dedicarlo al giovane scomparso.

 

Nel 1997 ci prova con Philippe Batoux. Invece di salire da Macugnaga, i due salgono dalla Valsesia, passano dalla Capanna Resegotti e poi, con un lungo traversa in discesa, si portano all’attacco della parete, ma vengono respinti dalle condizioni della montagna. Nel luglio dell’anno successivo (1998), Gabarrou ritenta con Christophe Ducroz, ma viene di nuovo respinto dal maltempo. Tre settimane dopo, seguendo lo stesso avvicinamento dalla Valsesia, i due alpinisti sono di nuovo alla base della parete. E’ la volta buona: Gabarrou e Ducroz attaccano le rocce più basse della nervatura di sinistra; poi salgono diritti lungo la parete Est della nervatura centrale, proseguono lungo la schiena d’asino e raggiungono direttamente la cima della Punta Gnifetti. Nasce così la Directe pour Tobias. «Una via superba, realizzata in tre giorni tra il 7 e il 9 agosto 1998, diretta e dalle enormi difficoltà tecniche. Il tracciato corre tra la ‘via del Centenario’ e la ‘Dies Irae’ [...]. Le difficoltà sono elevatissime su roccia dove si tocca l’VIII- (ED+). E’ la via più difficile del Monte Rosa assieme alla ‘via diretta slovena’ sempre sulla medesima parete e a ‘Viaggio nel tempo’ sulla parete di Alagna» [Beltrame] (nota 2).

 

Con la salita di Gabarrou si chiude per ora (2023) la storia alpinistica della parete Est del Monte Rosa in relazione all'apertura di nuove vie e, naturalmente, in base alle notizie che ho trovato sulle fonti da me consultate. Nella terza parte vedremo l'alpinismo invernale e quello solitario, l'alpinismo femminile, le discese con gli sci e, per concludere, qualche curiosità.

 

NOTA 1.  Ettore Zapparoli nacque il 21 novembre 1899 a Mantova e in questa città trascorse l’infanzia. Nel 1916 si arruolò come volontario (l’Italia era entrata in guerra nella primavera del 1915), ma al fronte non imbracciò le armi e nel 1917 era di nuovo a casa. Nell’estate di quell’anno, a Custoza, dove la famiglia trascorreva l’estate, compose il poemetto pastorale Saga (dal nome della giovane protagonista), rivelatore della sua inclinazione letteraria e artistica. All’inizio degli anni Venti si laureò in Economia e Commercio a Venezia e scoprì l’alpinismo e le Dolomiti, rivelandosi subito «un arrampicatore di ottimo livello e già votato all’alpinismo solitario» [Colli]. Della sua attività in Dolomiti abbiamo pochissime notizie: salì in inverno il Campanil Basso di Brenta e nel 1926 superò da solo la via Bettega alla parete Sud della Marmolada (D+; passaggi di V). In quegli anni compose poesie «senza regola» [Colli], di difficile lettura, e conobbe due alpinisti di fama, Gabriele Boccalatte (che come lui amava la musica) e Guido Rey, di cui diventò amico. Alla fine del decennio la famiglia si trasferì a Milano, dove Zapparoli risiederà per tutta la vita; il padre Luigi, medico, era diventato primario ad Arona e aveva aperto uno studio di otorino a Omegna. Insieme alla madre, Anita Nuvolari, Zapparoli trascorse l’estate del 1929 a Macugnaga, restando subito affascinato dalla grandiosa parete Est del Monte Rosa. Il 24-25 agosto di quell’anno salì in solitaria la Punta Dufour lungo la via del canalone Marinelli, aprendo una variante diretta che però non gli è stata riconosciuta da Buscaini nella guida del Monte Rosa (compare invece nella prima edizione della guida, curata da Silvio Saglio e Felice Boffa, pubblicata nel 1960). Nel 1930 si diplomò in composizione al Conservatorio di Parma e, nello stesso anno, conobbe l’alpinista Giorgio Brunner, accademico del CAI, col quale arrampicò nel gruppo del Monte Bianco, salendo, ad esempio, la cresta Est (via normale) dell’Aiguille Noire de Péuterey (8 settembre). Pochi giorni prima (1 settembre)  aveva aperto in solitaria una via nuova sulla punta SE della Fourche de la Brenva [Buscaini]. Nel gruppo del Bianco salì anche le Grands Jorasses e la parete Nord del Dente del Gigante. Nell’estate successiva (20 agosto 1931), con Antonio Sanmarchi, aprì una via direttissima sulla parete Ovest del Dente settentrionale d’Aran, in Valtournenche. I primi anni Trenta furono caratterizzati anche da alcuni infortuni: si ruppe una gamba sul Gran Fillar, sopra Macugnaga, e un braccio in un tentativo solitario alla cresta di Santa Caterina (Nordend). Appena si riprese, tornò alla sua amata parete. Nell’estate del 1934 (18-19 agosto), aprì in solitaria la sua difficile via diretta al Colle Gnifetti. Durante gli anni Trenta, salì anche la cresta Signal con don Sisto, parroco di Macugnaga, e percorse due volte da solo il canalone Marinelli. Intanto si dedicava alla stesura di un romanzo fortemente autobiografico, Blu Nord, in cui si fondono alpinismo e musica. Il romanzo uscì nel 1936, ma ebbe uno scarsissimo successo editoriale. Zapparoli collaborava anche con giornali e riviste, come L’Ambrosiano, la Rivista mensile del CAI, il periodico Le Prealpi della SEM di Milano, La lettura. Nell’agosto del 1937 aprì una nuova via sulla Nordend, salendo in solitaria la cresta del Poeta (il racconto della salita fu inserito nel volume antologico Scalatori, pubblicato nel 1939 a cura di A. Borgognone e G. Titta Rosa). Alla fine del decennio iniziò a comporre il balletto Enrosadira, che verrà inserito nel cartellone del teatro alla Scala per la stagione 1942-43, ma che non sarà rappresentato a causa del bombardamento dell’edificio (nel quale andranno distrutti anche gli spartiti musicali dell’opera). Quando l’Italia entrò in guerra, nel giugno del 1940, Zapparoli venne richiamato alle armi col grado di capitano e inviato sui monti sopra Bardonecchia. Si incrinò una vertebra e rientrò a Milano, dove riprese a comporre musica. Dopo l’8 settembre 1943 collaborò con la Resistenza in Val d’Ossola, ma ancora una volta senza imbracciare le armi. Tornato a Milano dopo la Liberazione, conobbe Massimo Mila e Dino Buzzati, di cui divenne amico, ma che gli rifiutò la pubblicazione di un articolo sul Corriere della Sera. Zapparoli tuttavia continuò a collaborare con giornali e riviste, in particolare con il Corriere d’Informazione, per il quale scrisse diversi articoli che gli valsero l’assegnazione del Premio St. Vincent per gli articoli dedicati allo sport della montagna (ma questo riconoscimento, purtroppo, fu assegnato postumo, il 26 agosto 1951, quando Zapparoli era morto da alcuni giorni). Nel 1945 conobbe e si innamorò, non ricambiato, della diciassettenne contessina Francesca Tarsis. Questa vicenda incise negativamente su di lui, generando preoccupazione nella madre. Intanto riprendeva le scalate e nel 1948 salì in prima solitaria il canalone della Solitudine alla Nordend, che però non percorse integralmente, uscendone a destra, all’altezza dello Jägerjoch. L’anno successivo uscì il suo secondo romanzo, Il silenzio ha le mani aperte, caratterizzato da una forma e da un linguaggio decisamente innovativi. Nella vicenda narrata l’alpinismo non ha più molto spazio, mentre sono presenti le vicende della guerra e della Resistenza. Anche in questo caso però, il successo editoriale sarà assi limitato. Nell’autunno del 1950, Zapparoli presentò a Milano l’Ideo-Foto-Concerto, in cui la narrazione delle sue imprese alpinistiche era accompagnata dalla proiezione di immagini e dall’esecuzione di brani musicali, alcuni dei quali composti da lui stesso. Nell’agosto del 1951 tornò a Macugnaga. Nei giorni che precedettero la partenza aveva cercato un paio di ramponi, senza trovarli. Sale all’Alpe Fillar, non distante dal Belvedere (dove oggi arriva la seggiovia), e vi rimase un paio di giorni in compagnia dell’alpigiano Toni. Poi partì per la parete con un’attrezzatura inadeguata. Nel tardo pomeriggio, il custode del Rifugio Zamboni, Zaverio Lagger, individuò col binocolo un alpinista che si muoveva sui pendii ghiacciati sotto l’occhio della Zumstein. Poi rientrò in rifugio e, quando si affacciò di nuovo per scrutare la parete, non vide più nessuno. Zapparoli spariva così sulla parete della sua vita. Le ricerche, avviate subito dopo la sciagura, non diedero alcun esito. Il 9 settembre del 2007 un escursionista rinviene alcuni resti umani sul Ghiacciaio del Belvedere, alla base della parete. L’esame del DNA, voluto dai familiari di Zapparoli, rivelerà che erano proprio i suoi resti, che ora riposano nel cimitero degli alpinisti di Macugnaga. In che giorno avvenne la tragedia? La data solitamente indicata è il 18 agosto, ma nella ricostruzione di Beltrame la scomparsa di Zapparoli sarebbe avvenuta il giorno successivo (19 agosto). D’altra parte non è quello sulla data l’interrogativo principale sulla sua morte, che rimane avvolta dal mistero. Perché un alpinista così esperto si è avventurato su quella parete senza un’attrezzatura adeguata? Si è anche pensato a un tentativo di suicidio, perché lo Zapparoli di quegli anni non era più quello di un tempo e molti elementi negativi tormentavano il suo animo. Questa nota biografica non può affrontare tutto ciò, come non può dar conto della complessità della vita di Ettore Zapparoli. Per chi volesse approfondirne la conoscenza, ecco un elenco di libri e di articoli reperibili in rete:

A. Giorgetta, D. Colli [a cura di]: Alpinismo solitario: vita imprese inediti di Ettore Zapparoli. CAI, 2011

E. Pesci: Solitudine sulla Est. Ettore Zapparoli e il Monte Rosa romantico. Vivalda, 1997.

Massimo Beltrame, Monte Rosa. 250 anni di scalate..., Zeisciu, 2022, pp. 190-197

https://www.sherpa-gate.com/altrispazi/il-mistero-di-ettore-zapparoli/

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-z/ettore-zapparoli/

 

NOTA 2. La via Viaggio nel tempo è stata aperta da Hervé e Marco Barmasse nel 2011 (29-30 settembre) sulla parete Sud-Est della Punta Gnifetti che si affaccia sulla Valsesia. Ha un dislivello di 800 metri dal pianoro glaciale noto come pianoro Ellermann e presenta passaggi sostenuti di VI (difficoltà complessiva ED).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Gino Buscaini, MONTE ROSA, Guida dei Monti d’Italia, 1991, CAI/TCI

Silvia Metzeltin, STORIA ALPINISTICA, in Gino Buscaini op. cit. pp. 59-67

Massimo Beltrame, MONTE ROSA. 250 ANNI DI SCALATE NELLA VOCE DEI PROTAGONISTI, 2022, Zeisciu

Alessandro Gogna, LA EST DEL MONTE ROSA, relazione al convegno nazionale del CAAI, Domodossola, 12 ottobre 2019 [reperibile in rete https://gognablog.sherpa-gate.com/la-est-del-monte-rosa/]

 

Il versante Nord-Est della Punta Gnifetti con il tracciato della via Directe pour Tobias (Gabarrou-Ducroz). Ho cercato di seguire il più fedelmente possibile il percorso che lo stesso Gabarrou ha segnato su una fotografia ripresa da un punto di vista abbastanza simile e riprodotta nel libro di Beltrame. Le altre vie aperte negli anni Novanta su questa parete passano tutte a sinistra della Directe pour Tobias, sulle rocce e i canali ghiacciati tra la Cresta Signal e la nervatura centrale. [Foto di Sandro Quarello, primi anni Cinquanta del Novecento]

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