La parete Est del Monte Rosa (5)
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LA STORIA ALPINISTICA - TERZA PARTE SALITE INVERNALI, SOLITARIE E FEMMINILI, DISCESE SCIISTICHE E QUALCHE NOTA FINALE
In questa terza e ultima parte vediamo alcuni aspetti particolari dell’alpinismo sulla parete Est del Monte Rosa: le prime salite invernali, quelle solitarie e quelle femminili, le discese sciistiche e, infine, qualche accenno alle salite da parte degli alpinisti che hanno lasciato anche un segno nella storia dell’alpinismo himalayano. Per realizzare questa ultima parte mi sono basato sulle stesse fonti già utilizzate per le prime due, con l’aggiunta del capitolo introduttivo del libro che Erminio Ferrari e Alberto Paleari hanno dedicato alla tragedia Marinelli del 1881. Si tratta di un testo in cui Erminio Ferrari traccia un’agile storia della parete Est, con alcune interessanti notizie che non avevo trovato altrove. Come nelle prime due parti, l’attenzione è puntata, salvo alcuni casi, solo sulle prime salite.
1. Le salite invernali
«L’esplorazione invernale [delle Alpi] andò quasi di pari passo con quella estiva e le prime invernali si ebbero già alla fine dell’Ottocento» [Metzeltin]; è proprio quella l’epoca in cui anche le cime del Monte Rosa, naturalmente lungo le più facili vie normali, incominciarono a essere salite in inverno. La prima a essere raggiunta, il 26 gennaio 1884, è stata la Punta Dufour (Vittorio Sella con le guide Jean-Joseph e Daniel Maquignaz e B. Aymonod), seguita dalla Punta Gnifetti il 18 gennaio 1886 (Corradino e Gaudenzio Sella con le guide Jean-Josph Maquignaz e Pietro Gugliermina e i portatori Buscaglia e Girardi) e dalla Punta Zumstein, il 20 marzo 1902 (Ettore Allegra con le guide P. Dayné e A. Welf). La Nordend ha atteso più a lungo (4 Marzo 1920) e i primi salitori invernali (J. Du Bois e A. Shaller) non hanno seguito la via normale, bensì lo sperone Sud-Ovest, noto come sperone Morshead, salito la prima volta il 13 agosto 1877 da Fredrick Morshead con al guida Malchior Anderegg (AD+ con un passaggio di IV+). Vale anche la pena di aggiungere che il 5 febbraio 1932 Emanuele Andreis, Paolo Ceresa e Giusto Gervasutti effettueranno la prima salita scialpinistica della stessa cima (non ho trovato notizie sulla via che hanno seguito per raggiungere la vetta, se lo sperone Morshead o la cresta Sud dal Silbersattel).
Per la storia dell’alpinismo invernale sulla parete Est bisogna invece aspettare il secondo dopoguerra: nel 1948 Ottavio Festa e Adolfo Vecchietti raggiungono la Capanna Resegotti dalla Valsesia e il giorno dopo (20 marzo) firmano la prima invernale della cresta Signal alla Punta Gnifetti. Nel 1953 abbiamo invece la prima salita invernale della parete Est: gli alpinisti milanesi Emilio Amosso e Oliviero Elli raggiungono il Silbersattel lungo la via del canalone Marinelli. Ci voglio tre giorni (9-11 marzo) e due bivacchi per salire la via, raggiungere il colle nella tormenta e scendere a Zermatt, riportando purtroppo gravi congelamenti.
Poi arriva il grande momento delle guide locali, che sulla parete di casa portano a termine una serie di prime invernali di notevole valore alpinistico. Ad aprire le danze sono quattro guide di Macugnaga, Luciano Bettineschi, Felice Jacchini, Michele Pala e Lino Pironi, che nei giorni 5 e 6 febbraio 1965 salgono la Punta Dufour per la via del 1872, raggiungendo la cima dopo un durissimo bivacco nella bufera a 4300 metri (-40° secondo le stime di Bettineschi). Poche settimane dopo, il 25 febbraio, le guide ossolane Armando Chiò e Dino Vanini attaccano l’impegnativa via dei francesi alla Punta Gnifetti. E’ una giornata bellissima, ma le condizioni meteo cambiano prima di sera e il bivacco sotto la schiena d’asino diventa un inferno a causa di una violenta bufera di vento. Il giorno dopo (26 febbraio) proseguono nella bufera e raggiungono la cima, trovando riparo nel gelido locale invernale della vecchia Capanna Margherita. Il 27 riescono a scendere fino ad Alagna utilizzando la funivia solo nell’ultima parte della discesa. Entrambi hanno riportato dei congelamenti, ma per Chiò la situazione è particolarmente grave e subirà l’amputazione delle dita dei piedi.
Due anni dopo, nel 1967, nel breve giro di quattro giorni vengono effettuate altre due prime invernali, anche questa volta «in condizioni climatiche proibitive e con bivacchi durissimi» [Ferrari]. Il 10 e l’11 febbraio (l’11 e il 12 secondo Ferrari) ancora le guide macugnaghesi Luciano Bettineschi, Carlo e Felice Jacchini, Michele Pala e Lino Pironi salgono l’impegnativa cresta di Santa Caterina. Tra l’11 e il 13 febbraio gli alpinisti Tino Micotti, Gualtiero Rognoni, Pierino Sartor (verbanesi) e Piero Signini (di Borgomanero) salgono la via Brioschi.
Gli anni Settanta si aprono con la salita invernale del canalone della Solitudine (11-13 febbraio 1971) da parte delle guide di Macugnaga Carlo Jacchini, Michele Pala e Lino Pironi. Si tratta della prima salita completa del canalone (il primo salitore, Ettore Zapparoli, ne era uscito dopo due terzi di salita, verso lo Jägerjoch) e anche della prima invernale (lo deduco da quanto si può leggere nella guida di Buscaini). L’anno successivo Gian Paolo Bogo, Ferdinando Danini, Adriano Gardin e Achille Montani (anche loro guide alpine della zona) salgono in prima invernale (20-21 dicembre 1972) la via Del Custode-Zani alla Punta Zumstein.
Nel 1976 Piero Morandi e Gianni Tagliaferri salgono la cresta del Poeta alla Nordend (14-15 gennaio), mentre pochi giorni dopo (18-20 gennaio) la guida di Gressoney Arturo Squinobal con l’alpinista Nino Cavallotti supera in prima invernale l’impegnativa via del Centenario (passaggi di VI su roccia) alla Punta Gnifetti, aprendo anche una difficile variante nel tratto finale, sulle rocce sopra la schiena d’asino. L’ultimo bivacco e l’ultimo giorno della salita si svolgono in condizioni tremende per via del maltempo e di un vento fortissimo. Raggiunta la cima, i due sono costretti a restare alcuni giorni nella Capanna Margherita in attesa che il tempo migliori e consenta loro di scendere. La salita di Squinobal e Cavallotti è anche la prima ripetizione della via, aperta solo quattro anni prima.
L’anno successivo (1977), Walter Romen e ancora Gianni Tagliaferri salgono la nervatura di destra alla Punta Gnifetti, aprendo una variante diretta alla via dei primi salitori (1933), che avevano raggiunto la base della nervatura con una lunghissima traversata dalla Capanna Marinelli. Romen e Tagliaferri, invece, attaccano la parete dal basso e risalgono il ghiacciaio del Signal seguendo la via dei francesi. Poi superano uno sperone di roccia e neve ai piedi della nervatura di destra e si ricollegano alla via del 1933, lungo la quale raggiungono la cima.
L’inverno del 1980 vede la prima solitaria invernale della via Del Custode-Zani alla Punta Zumstein da parte della guida alpina di Macugnaga Claudio Schranz, che vanta anche una notevole esperienza extraeuropea. Schranz parte il 20 dicembre con il bel tempo, ma quando si trova già oltre l’occhio della Zumstein è avvolto da una terribile bufera. Ha con sé il sacco a pelo e una piccola tenda da bivacco che riesce a montare in una grotta di ghiaccio. Dopo 40 ore di bivacco con temperature fino a -30 può riprendere la salita: raggiunge la Punta Zumstein e poi la Capanna Margherita in cima alla Punta Gnifetti. Qui dovrà attendere altre 26 ore prima di poter scendere fino a Punta Indren, dove incontra gli amici saliti ad attenderlo.
La salita di Schranz ci introduce così agli anni Ottanta. Nel 1981 (3-5 gennaio) G. Cattaneo e L. Ferioli raggiungono il Colle Zumstein dopo aver percorso il canalone Marinelli, ma Buscaini non attribuisce alla loro salita il titolo di “prima” invernale. Nel 1984, come abbiamo già visto, Alberto Paleari e Tullio Vidoni aprono proprio inverno (14 febbraio) la via del canalone sinuoso alla Nordend. Alla fine del decennio, nel 1989 , Fabio Jacchini (guida alpina di Macugnaga) porta a termine la prima invernale (e prima solitaria) della via Ranzoni-Jacchini, sempre sulla parete Est della Nordend (17 gennaio).
Gli anni Novanta vedono ancora alcune nuove prime ascensioni invernali. Nel 1991 il macugnaghese Walter Berardi supera in prima solitaria invernale la via del canalone Marinelli e della cresta Est della Punta Dufour (3-4 febbraio). Dopo tre anni di tentativi vanificati dalle brutte condizioni della neve, porta a termine la salita nonostante il vento forte, le temperature bassissime e una scarica di ghiaccio che lo colpisce a una spalla. Nel gennaio del 1993 Fabio Jacchini ritorna sulla parete e porta a compimento la prima invernale solitaria del canalone della Solitudine; nel mese successivo anche Walter Berardi è di nuovo in azione sulla Est e realizza la prima salita invernale della via Restelli alla Nordend con Claudio Giorgis (19-21 gennaio). Dalla cima, i due alpinisti rientrano alla Capanna Marinelli percorrendo in discesa l’omonimo canalone. Infine, sempre nel 1993 ma in una data imprecisata, gli sloveni Vanja Furlan e Zvonito Pozgaj salgono in prima invernale la via Francesca Schranz alla Nordend. Da allora sono passati trent’anni, durante i quali, per quanto sono riuscito a sapere, non sono state compiute altre prime invernali sulla parete.
Cliccare qui per vedere i tracciati della prime invernali sullo schizzo di Gino Buscaini (MONTE ROSA, Guida dei MOnti d'Italia, CAI/TCI, 1991)
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2. Le salite solitarie
Anche se il comune buon senso e le raccomandazioni del Soccorso Alpino sconsigliano di andare in montagna da soli, l’alpinismo solitario occupa un posto importante nella lunga storia di questa attività. Naturalmente la parete Est del Monte Rosa non fa eccezione ed è appunto di salite solitarie che parliamo in questo paragrafo. Abbiamo già visto che alcune vie sono state aperte da alpinisti che hanno affrontato da soli la grande parete: oltre a Zapparoli, che più volte ha salito la parete in solitaria, ricordiamo Adriano Gardin (sulla Punta Gnifetti) e Giuseppe Dorn (allo Jägerjoch). Anche parlando delle imprese invernali abbiamo dato conto di prime salite solitarie: Claudio Schranz sulla Punta Zumstein (via Del Custode-Zani), Fabio Iacchini sulla Nordend (via Ranzoni-Iacchini e canalone della Solitudine) e Walter Berardi sulla Punta Dufour (via classica). Per completare il quadro vediamo ora quali sono state le altre prime salite solitarie.
Ora, a parte la salita di Dorn allo Jägerjoch, che è del 1901 e che è un po’ marginale rispetto alla parete vera e propria, per le prime solitarie bisogna attendere gli anni Venti del Novecento. Nel 1924 (la data è imprecisata), l’alpinista lombardo Angelo Taveggia sale in prima solitaria la via classica alla Punta Dufour, mentre l’anno successivo (anche lui in una data imprecisata) l’austriaco Oskar Franz percorre da solo la stessa linea e poi la discende, firmando la prima discesa solitaria della via (la prima discesa effettiva era stata compiuta l’1 settembre 1911 da Otto Stein con le guide Alfred ed Heinrich Burgener).
Durante gli anni Trenta e nell’immediato dopoguerra si collocano le salite solitarie di Zapparoli. La sua via lungo la cresta del Poeta sarà ripetuta per la prima volta e in solitaria da Augusto Pala, il 2 settembre 1940. A questo forte alpinista (che poi percorrerà la stessa via in discesa con Roberto Mellana e Franco Fabbri) sarà dedicato nel 2008 il bivacco da tempo esistente presso l’alpe Hinderbalmo, nell’oasi faunistica del Monte Rosa. Alla fine degli anni Quaranta, nel 1949 (ma ancora in una data imprecisata), il milanese Oliviero Elli, che abbiamo già visto protagonista con Emilio Amosso nella prima invernale al Silbersattel, sale in prima solitaria il Colle Zumstein lungo la via del canalone Marinelli. Sei anni dopo, nell’estate del 1955, il grande alpinista austriaco Hermann Buhl, porta a termine la prima salita solitaria al Silbersattel, salendo sempre lungo il canalone Marinelli.
Arriviamo poi al 1969, quando Alessandro Gogna (che l’anno prima ha firmato la prima salita solitaria dello sperone Walker sulla parete Nord delle Grandes Jorasses) affronta da solo la via dei francesi alla Punta Gnifetti. Il 17 giugno, a mezzanotte, parte dal Rifugio Zamboni e sale la via velocemente anche se il tempo non è dei migliori. Dalla schiena d’asino, ormai avvolto dalle nubi e dalla bufera, prosegue lungo la variante Diemberger e raggiunge la cima e il Rifugio Margherita: sono le 15,30 e fino al mattino del 19 giugno non riuscirà a iniziare la discesa. Anche questa non sarà facile, per via della bufera che imperversa sul versante svizzero. Nel primo pomeriggio arriva al Rifugio Gnifetti, dove è accolto da alcune guide. L’avventura è finita e la via dei francesi ha la sua prima solitaria. Buscaini attribuisce la seconda a Bruno Paglia, 15 luglio 1984, ma Bepi Pellegrinon, in un articolo del 2018, la accredita a Renzo Bez di Falcade (di cui riparleremo tra poco), che l’avrebbe salita nell’estate del 1972.
All’inizio degli anni Settanta, il 24 ottobre 1971, Adriano Gardin (che il mese prima ha aperto da solo la sua via sulla Punta Gnifetti) ripete in prima solitaria la via Ranzoni-Jacchini alla Nordend. Due anni dopo, (10 agosto 1973) Renzo Bez porta a termine la seconda solitaria della stessa via, scendendo poi, e nella stessa giornata, lungo il canalone Marinelli. Pochi giorni dopo (il 17 agosto), Bez si ripete sulla cresta di Santa Caterina, effettuandone la prima ascensione in solitaria. Se teniamo conto che nella stessa estate del 1973 aveva già salito e disceso da solo il canalone Marinelli, si capisce bene perché era conosciuto come il camoscio solitario dei ghiacciai (nota 1).
La storia delle prime solitarie sulla parete Est non si è chiusa alla fine di quel decennio, ma delle salite di Claudio Schranz, Felice Jacchini e Walter Berardi abbiamo già parlato nel paragrafo dedicato alle salite invernali.
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3. Alpinismo femminile
Il mondo dell’alpinismo è stato per molti decenni quasi esclusivamente maschile e pure un po’ (tanto) maschilista, ma la presenza delle donne, numericamente crescente, non è mai mancata. Indagando la storia alpinistica della parete Est del Monte Rosa, però, ho incontrato pochissime donne (e una sola protagonista di una “prima”). Delle loro imprese è venuto il momento di rendere conto. Abbiamo già parlato di Luise Kuhn, che nel 1923 fece la prima ripetizione della cresta di Santa Caterina con le guide Franz Lochmatter e Albert Fuchs. Va poi ricordata la prima traversata completa delle quattro cime del Monte Rosa, lungo la cresta che va dal Colle Signal allo Jägerjoch, compiuta il 5 agosto 1950 (in sole 15 ore!) da Edith Hafter con le guide Alexander Taugwalder e Victor Imboden.
Per venire alla parete vera e propria, nell'agosto del 1919 abbiamo l'impresa dell'alpinista tedesca Eleonore Noll-Hasenclever che, con le guide Heinrich Burgener e Rudolf Summermatter, sale la Punta Dufour, compie la seconda discesa lungo la via del canalone Marinelli (la prima era stata effettuata nel 1911, come abbiamo già detto) e, il giorno dopo, risale alla Nordend lungo la via Restelli. La Hasenclever (Noll è il cognome del marito, sposato nel 1914) è stata una delle più forti alpiniste dei suoi tempi. Iniziata all'alpinismo dalla grande guida Alexander Burgener (col quale salì 21 Quattromila), si legò in cordata con diversi alpinisti della sua generazione e portò a termine molte salite, tra cui la probabile prima ascensione della Punta Croz delle Grandes Jorasses (24 agosto 1909) con Wilhelm Klemm, Felix König e Richard Weitzenboch. Morì a 45 anni, travolta da una valanga mentre scendeva dal Bishorn (Vallese) insieme ad Hans Pfann ed Herr Trier (che si salvarono). E' sepolta a Zermatt, nel cimitero degli alpinisti (nota 2).
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4. Le discese con gli sci
La pratica dello scialpinismo nasce negli ultimi anni XIX secolo e già nei primi anni del Novecento vengono raggiunte le cime di molti Quattromila, anche nel gruppo del Monte Rosa. Tra le due guerre mondiali l’attività si espande anche fuori delle Alpi e si allarga il numero dei praticanti. Nel 1933 viene organizzata anche la prima grande gara di scialpinismo, il Trofeo Mezzalama, che si svolge tuttora tra Cervinia e Gressoney, sul versante valdostano del Monte Rosa. In questo periodo vengono effettuate anche le prime pionieristiche discese ripide; sono ancora casi molto rari, ma aprono una strada che, grazie ai miglioramenti della tecnica e dei materiali, porterà più tardi alla nascita dello sci estremo o, come si dice più spesso oggi, dello sci ripido (nota 3). L’iniziatore di questa pratica, alla fine degli anni Sessanta, è considerato lo svizzero Sylvain Saudan, che sarà subito seguito da altri protagonisti, tra cui l’altoatesino Heini Holzer e gli austriaci Kurt Lapuch e Manfred Oberegger, che, con lui, contribuiranno alla diffusione dello sci estremo sulle Alpi.
Sulla parete Est del Monte Rosa, le prime discese sciistiche risalgono al 1969: il 10 giugno Sylvain Saudan scende il canalone Marionelli dal Silbersattel e il mese successivo (20 luglio) Kurt Lapuch e Manfred Oberegger partono dalla Punta Zumstein, percorrono la parte alta della via Del Custode-Zani, poi traversano fin sotto la Punta Dufour e scendono alla base della parete lungo il canalone Marinelli. Queste due prime discese verranno ripetute solo molti anni più tardi. Nel 1985 (31 luglio), un giovanissimo Fabio Jacchini (18 anni!), non ancora guida alpina né maestro di sci, sale da solo la parete e ripete la discesa di Sylvain Saudan. Nel 1989 tocca alla linea di Lapuch e Oberegger, ripetuta da Riccardo Vairetti in primavera. Prima di queste ripetizioni c’era stata la prima discesa sciistica dal Colle Gnifetti lungo la via seguita dalla cordata di Matthias Zurbriggen nel 1893. L’autore della discesa (3 luglio 1976) è la guida e maestro di sci Claudio Schranz, che abbiamo già incontrato diverse volte in questa narrazione.
Il 1979 è l’anno di una grande impresa: Stefano De Benedetti sale con Gianni Comino la via dei francesi alla Punta Gnifetti quindi la scende con gli sci (24 giugno) mentre Comino la ridiscende con piccozze e ramponi. In un solo giorno realizzano così la prima discesa della via e la sua prima discesa sciistica. Undici anni dopo (17 giugno 1990) lo svizzero Dominique Neuenschwander sale la via dei francesi, la scende con gli sci, poi sale la direttissima di Gabarrou alla Nordend e torna in giù di nuovo sciando (nota 4).
Negli anni successivi, l’evoluzione dello sci ripido (cui si è aggiunto lo snowboard) ha portato a un notevole aumento del numero delle discese della parete lungo le linee che, partendo dal Silbersattel, dalla Punta Zumstein o dal Colle Gnifetti, si concludono con il lunghissimo canalone Marinelli. Ne risulta che oggi, date le mutate condizioni della montagna, la Est è percorsa più di frequente tra l’inverno e la primavera con gli sci o la tavola da snowboard che non in estate lungo le vie alpinistiche. Tuttavia, per chiudere questa rassegna dobbiamo ricordare ancora una grande impresa di Fabio Jacchini che il 27 maggio 2006 compie in prima assoluta la discesa sciistica del canalone della Solitudine.
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5. Gli uomini degli Ottomila, il Club dei 4000 e, finalmente, la conclusione
Una parete di tipo himalayano non poteva che attirare l’attenzione anche degli alpinisti che hanno lasciato un segno nella storia della conquista degli Ottomila e a loro, sulla scorta del libro di Massimo Beltrame, è dedicata la prima parte di quest’ultimo paragrafo. Alcuni li abbiamo già incontrati, come Hermann Buhl (prima solitaria al Silbersattel nel 1955) e Kurt Diemberger (variante di uscita alla via dei francesi nel 1956). Nel 1957 i due alpinisti austriaci raggiunsero insieme e per primi il Broad Peak (8051 m). Nel 1953 Buhl, partendo da solo e senza ossigeno dall’ultimo campo, aveva già compiuto la prima salita del Nanga Parbat (8126 m), mentre nel 1960 Diemberger porterà a termine, con altri compagni, la prima ascensione del Dhaulagiri (8167 m).
Nel 1925 (15 agosto) Willo Wlzenbach e Alexander Matschunas scendono lungo la cresta di Santa Caterina in arrampicata libera ma rifacendo in salita i passaggi più difficili per poter descrivere l’itinerario, dato che sia V.J.E. Rayan che Louise Khun (prima e seconda salita) non avevano lasciato nulla di scritto. Welzenbach fu uno dei primi alpinisti tedeschi a subire il fascino del Nanga Parbat (8126 m), ma poi lasciò che fosse l’amico Willy Merkl ad organizzare le prime spedizioni, nel 1932 e nel 1934. Welzenbach partecipò alla seconda, che si concluse tragicamente. Fu raggiunta la quota stimata di 7895 m, ma poi il maltempo si mise a infuriare per diversi giorni, causando la morte di quattro alpinisti (tra cui Welzenbach e Merkl) e di sei sherpa.
Nel 1955 i francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal salgono la Punta Dufour lungo la via del canalone Marinelli e della cresta Est; cinque anni prima (1950) erano stati i primi alpinisti a raggiungere la cima dell’Annapurna (8091 m), il primo dei quattordici Ottomila a essere conquistato. Quella salita costò ai due francesi gravi congelamenti ed entrambi subirono pesanti amputazioni, che per Lachenal significarono la perdita di una parte significativa dei piedi. Continuò ad andare in montagna calzando degli scarponi e dei ramponi speciali, ma troverà la morte in un crepaccio della Vallée Blanche tre mesi dopo la salita della Dufour.
Wilfrid Noyce e George Band fecero parte della vittoriosa spedizione inglese che nel 1953 portò alla conquista dell’Everest (8848 m). Band, che l’anno prima aveva salito la Nordend lungo la cresta di Santa Caterina, era il componente più giovane della spedizione, mentre Noyce (che nel 1959 sarà tra gli apritori della via trasversale alla Punta Gnifetti) diede un contributo fondamentale nella parte finale della salita, quella che porterà Hillary e Tenzing a calcare per primi la cima della montagna più alta della terra. Il 1953 fu anche l’anno della sfortunata spedizione americana al K2 (8611 m), che dovette fermarsi a 7700 m e si concluse con la tragica morte di Art Gilkey. Alla guida del gruppo c’era Charles Houston che nel 1935 (24 luglio) aveva salito la via Brioschi con tre compagni, tra cui l’inglese Thomas Graham Brown, il cui nome è legato al celebre trittico sulla parete della Brenva (via della Sentinella, via Major e via della Pera).
Ricordiamo infine Riccardo Cassin, che nel 1935 salì la cresta Signal con due compagni e che nel 1958 guidò la vittoriosa spedizione italiana al Gasherbrum IV, nel Krakorum. La cima (7925 m) fu raggiunta il 6 agosto da Walter Bonatti e Carlo Mauri, ma tra gli alpinisti che realizzarono questa grande impresa c’era anche una delle glorie di Macugnaga, la guida alpina Giuseppe Oberto, che sulla difficile cresta finale era salito fino a 7500 m. Nella sua lunga carriera, Oberto ha salito decine di volte la parete Est del Monte Rosa: 17 volte la via classica del canalone Marinelli alla Punta Dufour, 13 volte la cresta Signal, 6 volte la via Brioschi alla Nordend (oltre alla già ricordata terza ripetizione della via dei francesi alla Punta Gnifetti). Quando, scendendo in Svizzera dalle vie normali, arrivava alla Capanna Betémps (oggi Monte-Rosa-Hütte) lo accoglievano chiamandolo Herr Marinelli, per tutte le volte che aveva salito il canalone! (nota 5)
Dopo aver parlato di tanti alpinisti (e di poche alpiniste), vorrei ricordare una bella iniziativa che sicuramente ha coinvolto molti di loro. Mi riferisco alla fondazione del Club dei 4000, costituito a Macugnaga nel 1960 per volontà di Romeo Berti. Oggi il club conta circa 400 soci ma, considerando anche quelli che “sono andati avanti” arriviamo a 700, testimoni di una grande passione per l’alpinismo e per questa magnifica parete. Al club, che ha sede a Macugnaga, possono associarsi tutti coloro che hanno salito una delle quattro cime del Monte Rosa (o uno dei colli che le separano) lungo la parete Est, partendo da Macugnaga. Tra le altre iniziative, il club organizza ogni anno un raduno che, tempo permettendo, si tiene all’Alpe Pedriola, dove si trova il Rifugio Zamboni-Zappa, ai piedi della grande parete.
E' giunto il momento di concludere questa lunga narrazione. Mi piace farlo citando le parole di Alessandro Gogna, secondo il quale «di certo la storia non è finita. Anche perché questa eccellenza di misto e di ghiaccio è uno dei luoghi dove il recente cambiamento climatico ha più costretto gli alpinisti a mutare le proprie abitudini e i proprio obiettivi. E si sa che i cambiamenti sono anche delle nuove opportunità».
NOTA 1. L’articolo di Bepi Pellegrinon su Renzo Bez è reperibile in rete: https://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/addio-al-camoscio-solitario-dei-ghiacciai-1.1755415
NOTA 2. Maggiori informazioni su Elenore Noll-Hasenclever si possono trovare in rete, sul sito di Angelo Elli e su Wikipedia (in inglese): http://www.angeloelli.it/alpinisti/file/Hasenclever%20Noll%20Eleonore.html https://en.wikipedia.org/wiki/Eleonore_Noll-Hasenclever
NOTA 3. Sulla distinzione tra sci estremo e sci ripido, si può vedere il post di Carlo Crovella (con il relativo dibattito): https://gognablog.sherpa-gate.com/dallo-sci-estremo-allo-sci-ripido/
NOTA 4. La discesa di Neuenschwander è citata sinteticamente solo nel libro curato da Erminio Ferrari e Alberto Paleari.
NOTA 5. A Giuseppe Oberto è stata dedicata una bella biografia: La storia di “Treijerli”. Giuseppe Oberto, un Walser guida alpina, a cura di Beba Schranz e Luigi Zanzi, 2011, Fondazione Enrico Monti.
BIBLIOGRAFIA
Gino Buscaini, MONTE ROSA, Guida dei Monti d’Italia, 1991, CAI/TCI Silvia Metzeltin, STORIA ALPINISTICA, in Gino Buscaini op. cit. pp. 59-67 Massimo Beltrame, MONTE ROSA. 250 ANNI DI SCALATE NELLA VOCE DEI PROTAGONISTI, 2022, Zeisciu Erminio Ferrari e Alberto Paleari (a cura di), UNA VALANGA SULLA EST, 2006, Tararà Alessandro Gogna, LA EST DEL MONTE ROSA, relazione al convegno nazionale del CAAI, Domodossola, 12 ottobre 2019 [reperibile in rete https://gognablog.sherpa-gate.com/la-est-del-monte-rosa/]
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