Traversata dello Zuccone di Campelli

(Valsassina - Lombardia)

 

Escursionismo

 

SCHEDA TECNICA

DISLIVELLO: 1284 m

DURATA: 4,30 ore (salita), 3 ore (discesa)

DIFFICOLTA': EE la salita dello Zuccone, E il resto del percorso

AGGIORNAMENTO RELAZIONE: maggio 2003

 

Quando dalla Brianza si guarda verso nord, i nostri occhi non possono fare a meno di soffermarsi sui profili di alcune montagne amatissime da tutti gli alpinisti lombardi: le regolari piramidi del Grignone e della Grignetta e la cresta inconfondibile del Resegone, immortalata da Manzoni all’inizio dei Promessi Sposi. Intorno a queste montagne ce ne sono tante altre. Viste da lontano spiccano meno, hanno forme apparentemente più arrotondate e più docili, sembrano promettere poco all’escursionista o all’alpinista. Naturalmente non è così: qualche piccolo segreto, qualche angolo magico si nasconde anche dietro ai profili più banali: basta avere la curiosità di andarlo a cercare.

Lo Zuccone di Campelli è una di queste montagne. Se ne sta lì, buono buono, tra la Grignetta e il Resegone, poco appariscente, come una gobba insignificante contro il cielo. Invece, a vederlo da vicino, è un’altra cosa e soprattutto il suo versante occidentale, quello che domina la stazione sciistica dei Piani di Bobbio, sembra un piccolo angolo di Dolomiti in terra lombarda. Come i suoi più noti vicini, anche lo Zuccone è stata una delle montagne su cui ho iniziato a vivere le mie prime esperienze in montagna e più volte, nel corso degli anni, ci sono tornato. Sulla cresta Ongania (II e III, con qualche possibile variante più impegnativa) ho arrampicato tante volte: in estate e in autunno, una volta anche in pieno inverno. Più di una volta mi sono divertito a percorrere con piccozza e ramponi i corti canali che si infilano incassati tra le rocce del suo versante occidentale.

Mi sono però accorto, riguardando la pagine del sito, che ho dedicato poco spazio a queste “mie” montagne: ora è tempo di porre rimedio a tanta ingiusta trascuratezza. Inizio a farlo con la proposta di questa escursione circolare che permette di salire in cima allo Zuccone con un percorso molto vario, partendo dai dolci prati della Valsassina per arrivare ad affrontare qualche breve passaggio roccioso prima di mettere piede sulla vetta. La difficoltà è contenuta (E) lungo la maggior parte del tragitto; la salita e la traversata dello Zuccone richiedono invece maggiore esperienza (EE). Il periodo migliore è, secondo me, compreso tra la metà di maggio e giugno, quando il verde degli alberi è splendente e i prati sono ricchissimi di fiori. Molto bello è anche il mese d’ottobre, quando il calcare bianco delle pareti rocciose si staglia nitido contro il cielo e gli alberi si vestono di mille colori. Questo percorso è molto interessante anche in inverno (vedi le foto), ma per questo rimando alle note al termine della relazione.

L’itinerario parte da Moggio, in Valsassina, che si raggiunge da Lecco seguendo la strada che porta in valle fino al Colle di Balisio; qui si devia a destra e, seguendo le indicazioni, si raggiunge il paesino.

Da Moggio (m 890), piazza Fontana, si prende la via Don P. Mariani (a sinistra del bar). La si segue per poco e quasi subito si sale a destra arrivando nella piazzetta dietro la chiesa. Sulla destra si segue una strada asfaltata che sale ripida tra le case e il bosco; presto diviene sterrata e compie un tornante a sinistra: ignorare la strada che prosegue diritta, effettuare il tornante e arrivare in breve alla partenza di una teleferica. Sulla destra (davanti alla teleferica) parte un sentiero che sale ripido nel bosco. Non ci sono né cartelli né segnavia, ma il sentiero è evidente. Più in alto si incontrano due case: non si raggiungono, ma si sale a destra, seguendo un sentiero che arriva su una sorta di stradina pianeggiante, ormai nelle vicinanze dell’ampio prato dove sorgono le case di Cornisei (m 1100 circa). Seguendo questa stradina verso destra, si passa accanto ad una fontana e si giunge presso una baita dove arriva la teleferica. Prima della baita si sale a sinistra e, senza un vero e proprio sentiero, si risale il prato; ci si porta quindi oltre le case più alte, raggiungendo il crestone che sale in direzione nord-est; seguendolo verso sinistra si raggiunge il punto più alto del prato. Percorrendo la dorsale tra i faggi (qualche vecchio segno color minio sui faggi) si arriva ad una sorta di selletta da cui partono tre sentieri: si prende quello che traversa a destra (all’inizio in piano) e lo si segue lungamente entrando nel Vallone del Faggio fino in vista della Baita Pesciola Bassa (m 1363). Senza raggiungere la baita si segue la traccia che sale a sinistra. All’inizio il percorso è ripido, poi il terreno si fa meno erto e il sentiero prosegue a tornanti fino alla Baita Pesciola Alta e alla successiva Bocchetta di Pesciola (m 1784), dove arriva uno skilift (ore 2,30/2,45 da Moggio).

Dalla bocchetta, che si affaccia sui Piani di Bobbio, si traversa in leggera discesa verso destra arrivando sul fondo del vallone dei Camosci, proprio sotto il rifugio Lecco (m 1777). Seguendo il fondo del vallone, o salendo in breve al rifugio, si raggiunge la pista da sci che si inoltra nel vallone e la si segue fino al suo termine, abbassandosi ai grossi massi al centro del dolomitico anfiteatro dominato dalla parete ovest dello Zuccone. Si sale verso l’evidente Canalone dei Camosci lungo le ghiaie del cono di deiezione; ci si infila nel canale e lo si percorre sul fondo ghiaioso. Il percorso non presenta particolari difficoltà; basta fare un po’ di attenzione a non smuovere i sassi e, alla fine della primavera, a qualche chiazza di neve che può permanervi (per informazioni sulle condizioni del canale si può telefonare al Rifugio Lecco: 0341/910669). Usciti sulla cresta sommitale (Bocchetta dei Camosci) si volge a sinistra e si segue la cresta fino al salto che precede la cima. Una corda fissa facilita la discesa di pochi metri ad una stretta forcelletta. Quindi si seguono le tracce che salgono tra le roccette prima a sinistra e poi a destra del filo di cresta, raggiungendo in breve la cima (m 2174, ore 1,45/2 dalla Bocchetta di Pesciola).

In discesa si torna fino all’uscita del canalone (Bocchetta dei Camosci), poi si sale al dosso successivo dove si trova un’antenna (m 2159). Si segue ora la cresta che compie un arco verso sinistra (prima verso sud e poi verso est) in direzione della Bocca Campelli, sotto il versante ovest della Cima di Piazzo. La cresta è talvolta un largo dosso, talvolta è più stretta (specie a metà), ed è percorsa da una traccia con qualche vecchio segno giallo. Si arriva così alla Baita di Bocca Campelli, nei pressi dell’omonima bocca (m 1923, 45 minuti dalla vetta).

Dalla Baita di Bocca Campelli (m 1923) abbassarsi a destra della pozza dell’acqua fino ai valloncelli della Bocca Campelli (m 1913). Traversare (segnavia bianchi e rossi) pressoché in piano sotto il versante sud-ovest della Cima di Piazzo la testata di un valloncello e raggiungere il Rifugio ANA Cazzaniga-Merlini (m 1900 circa, 15 minuti dalla Bocca Campelli). A sinistra si abbassa una traccia evidente ma non segnalata: seguirla; in prossimità di un masso con una scritta arancione sbiadita (proprio sotto lo sperone su cui sorge il rifugio) lasciare la più evidente traccia di destra (va ai Piani di Bobbio passando dalla Casera di Campelli e dal Sentiero degli Stradini) e seguire quella di sinistra, meno evidente all’inizio, che scende (un paio di ometti) ad un pianoro verde con masso bianco (questo pianoro è ben evidente dal Rifugio Cazzaniga e anche dalla Bocca Campelli). Sul pianoro, presso una stradina sterrata che collega i Piani di Artavaggio alla Casera Campelli, ci sono due cartelli indicatori (uno per il Rif. Nicola e uno per il Rif. Cazzaniga).

Seguire per circa 200 metri la stradina che scende verso sinistra. Quando spiana, presso alcuni massi con diverse scritte in vernice (ANA, rifugio Cazzaniga, cartello Rif. Nicola), prendere il sentiero, evidente ma non segnalato, che scende a destra nel Vallone e che porta al vecchio Rifugio Casari (m 1502, chiuso). Qui si incontra il sentiero 24 che proviene dai Piani di Artavaggio. Lo si segue in discesa nel Vallone: percorso evidente e segnalato. A quota 1220/30 si incontra un bivio: non seguire il più largo sentiero che si abbassa a sinistra ma la traccia (evidente e molto ben segnalata con frecce e segnavia n. 24 su bandierina rossa-bianca-gialla) che prosegue diritta. Con percorso dapprima pianeggiante poi in leggera discesa, si attraversa la faggeta e poi ci si abbassa raggiungendo i prati dove sorgono, tra i 1140 e i 1000 metri, le baite di Faggio. Superata l’ultima baita (ristrutturata; polli e cani in canile), si incontra una stradina che va seguita e che conduce a Moggio. Giunti alle prime case del paese si trova un nuovo bivio: abbassarsi a sinistra lungo la stradina di cemento che porta in breve sulla via Roncaiolo, seguendo la quale, verso destra, si arriva in Piazza Fontana (ore 1,45/2 dal Rifugio Cazzaniga).

NOTE: come ho già detto, il percorso è molto suggestivo anche nella stagione invernale. Durante la salita fino alla Bocchetta di Pesciola, la neve si incontra generalmente solo nell’ultimo tratto, nei pressi della Baita Pesciola Alta; prima, data l’esposizione a sud, la quota non elevata e la scarsità delle precipitazioni degli ultimi anni, se ne trova davvero molto poca. Dalla Bocchetta di Pesciola al Rifugio Lecco è spesso presente una traccia; se non ci fosse, conviene fare un giro più largo (in senso orario) perché il pendio da traversare per scendere sul fondo del vallone è piuttosto ripido.

A questo punto l’innevamento è generalmente abbondante, perché l’esposizione è a nord e a ovest. Occorre prestare attenzione nella salita del Canalone dei Camosci (piccozza e ramponi sono spesso necessari) e sulla cresta finale, specie dal punto in cui si scende alla forcelletta che precede la cima. Qui le difficoltà cessano di essere semplicemente escursionistiche e, seppure per un breve tratto, si fanno alpinistiche. Eventualmente ci si può fermare sul tondeggiante rilievo che si raggiunge subito a sinistra della Bocchetta dei Camosci (e che è il vero e proprio “Zuccone” di Campelli; la cima rocciosa dove è posta la croce, punto culminante della nostra escursione, è in realtà il “Dente” di Campelli, ma questa è una distinzione generalmente ignorata).

In discesa, lungo la cresta che si abbassa alla Bocca Campelli, anche se non vi è una traccia, non è difficile scegliere il percorso migliore, prestando attenzione alle condizioni della neve e ai punti più stretti. Giunti alla Bocca Campelli, è abbastanza probabile incontrare la traccia che conduce al Rifugio Cazzaniga e poi al sottostante pianoro con masso bianco e cartelli. Tuttavia, per giungere a questo punto, è possibile un percorso più diretto: dalla Bocca Campelli ci si abbassa a sud-sud-ovest e, tenendo come punto di riferimento il profilo del Resegone, si traversano diversi piccoli piani (paesaggio suggestivo e silenzioso) fino a quello con il masso bianco e i cartelli indicatori. Attenzione però: difficilmente in questo tratto si troverà neve trasformata e, se non c’è una traccia battuta, il procedere sarà inevitabilmente faticoso. Noi avevamo le racchette, ma si deve tener presente che durante tutta la gita si usano poco e quindi ognuno deve fare i suoi conti (pesano pur sempre un paio di chili).

Dal pianoro, anche se non vi è traccia, non è difficile intuire sotto la neve il percorso della stradina (su cui però non sarà improbabile trovare la pista delle motoslitte dei rifugisti dei Piani di Artavaggio) e neppure il sentiero che si abbassa all’ex rifugio Casari. Da qui in poi, anche se c’è neve (sarà comunque poca), non ci dovrebbero essere più problemi perché una traccia sarà sicuramente presente (da quando la funivia che collega Moggio ai Piani di Artavaggio è chiusa questo sentiero è diventato piuttosto frequentato).

 

BIBLIOGRAFIA:

in mancanza di una bibliografia specifica e recente sullo Zuccone di Campelli, possono essere utili la cartina della Kompass 1:50.000 (n. 105 - LECCO VAL BREMBANA) e soprattutto la carta turistica escursionistica 1:35.000 (GRIGNE-RESEGONE-CAMPELLI-TRE SIGNORI-LEGNONE) edita dall'Azienda Promozione Turistica del Lecchese e dalla Comunità Montana Valsassina-Valvarrone

 

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